Attualità
Media e immigrazione
Le notizie non hanno colore
Il 19 gennaio scorso è stata la giornata mondiale del migrante e del rifugiato: ma come trattano il tema dell’immigrazione quotidiani, televisioni e internet? A rispondere è l’associazione Carta di Roma
Maria Chiara Parisi | 12 febbraio 2014

Spesso molti non lo ammettono, e vivono nell'illusione che non sia così, ma l’Italia è un Paese in cui i cittadini di altra nazionalità hanno acquisito un ruolo sempre più attivo nella società civile. Quelli che comunemente sono chiamati immigrati – il cui termine lascia sempre sottintendere un’aura di sospetto e diffidenza – in realtà lavorano, studiano, aiutano: ci permettono di condurre uno stile di vita al di sopra della loro. Sono eroi? Probabile. E se sbagliano? Lo fanno perché uomini, non stranieri. Spesso si parla solo della loro sovrabbondanza come fossero merce e non del fatto che portino un beneficio di 1,4 miliardi nelle casse dello Stato.
Se il compito dei media è quello di rappresentare la società, allora l’associazione Carta di Roma è un bell’esempio di chi vuole far luce su aspetti delle condizioni e situazioni dei migranti. Nata nel 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione (appunto la Carta di Roma del 2008), l’associazione è formata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e associazioni che si occupano di migranti.
L’associazione ha appena pubblicato “Notizie fuori dal ghetto”, il primo rapporto annuale dedicato a media e immigrazione. Cosa è emerso? Che siano notizie positive o negative, almeno di immigrazione se ne parla, ma non quanto basta e spesso in maniera non adeguata.
Ad esempio, se parliamo di flussi migratori, tutti pensiamo subito all’immagine del barcone: questo perché è l’immagine con cui ne parlano i media. Ci spiega Giovanni Maria Bellu, presidente dell’associazione Carta di Roma: «In Italia solo una percentuale piuttosto bassa, che si aggira attorno al 10%, arriva via mare. Noi sappiamo che la maggior parte dei migranti è giunta via terra oppure con un regolare visto, che poi è scaduto e si è trattenuta, ma questi caratteri vengono rilevati con indagini di carattere sociologico, mentre l’icona mediale resta quella del barcone».
E invece l’immigrazione è anche e soprattutto altro: è una storia non raccontata, taciuta, magari quella del nostro compagno di classe o della nostra donna delle pulizie, quella di chi arriva stremato, perché ormai conosce troppo bene il sapore della miseria. Continua Bellu: «Il problema dell’immigrazione appare quando essa si traduce in un evento singolo, come quello di una tragedia. Ciò è legato allo stesso modo di lavorare dei giornalisti, ai criteri di notiziabilità. Credo che però col tempo e con un lavoro di sensibilizzazione dei giornalisti, si possa aumentare l’attenzione su altri aspetti dell’immigrazione, come la cultura, i rapporti con la popolazione locale, gli studi».
Dal Rapporto emerge che due notizie al giorno sulle prime pagine dei giornali parlano di immigrazione, ma molto spesso al maschile.
Il 53% delle notizie prese a campione, infatti, riguarda uomini, contro uno scarso 17% che coinvolge le donne, spesso rappresentate passivamente, come vittime nei casi di cronaca nera. «Analizzando i casi di violenza sulle donne e di femminicidio – spiega il presidente – si è rilevato che quando l’omicidio riguarda la donna immigrata si tende a cercare delle motivazioni nell’ambito culturale da cui essa proviene; quando riguarda una donna italiana si ragiona attorno alle dinamiche familiari: il pericolo della semplificazione, dello stereotipo, è dietro l’angolo». Senza contare anche un altro automatismo giornalistico: spesso accade che accanto alla notizia del femminicidio di una donna immigrata compaiano le stesse immagini, quella di Hina Saleem, ragazza pakistana uccisa dal padre perché conviveva con un italiano, oppure di Sanaa Dafani, morta anche lei per lo stesso motivo. Si tende dunque a non approfondire, a procedere per icone, e il pericolo è di continuare a vedere i cittadini stranieri in Italia come altro da noi, anche se abitano alla porta accanto.
E questo si riflette benissimo nel più attuale dibattito politico, quello sullo ius soli.
Perché se un bambino nasce, cresce, vive, mangia, corre, si diverte, parla, studia in Italia, allora non dovrebbe avere la cittadinanza? I genitori stranieri dovrebbero rappresentare un maggior bagaglio culturale, non un impedimento. Avranno mai il diritto queste persone di essere ciò che veramente sono, cittadini italiani?
Secondo quanto riportato dal Rapporto, il dibattito sulla cittadinanza e sullo ius soli è apparso più volte in prima pagina, per un totale di 71 articoli, di cui quasi la metà pubblicati su L’Unità, dedicati in gran parte a raccontare i punti di vista dei vari politici, dai quali non sembrano apparire soluzioni, ma tante critiche. Commenta Bellu: «Credo che l’atteggiamento della politica italiana, ormai da trent’anni, risenta del pensiero di un’organizzazione politica, la Lega Nord, che ha influenzato egemonicamente l’intero centro destra. Quest’ultima ha dato un grandissimo contributo a deformare il confronto ed ad ideologizzarlo, perciò è molto complicato affrontarlo in maniera razionale. Quando affrontiamo la questione dello ius soli si assiste ad uno spostamento del tema sulla difesa della produttività italiana. Non si ragiona sull’assurdità del fatto che i ragazzi delle seconde generazioni, che magari parlano con la cadenza delle varie città italiane, non siano italiani. È una questione che riguarda tutti e di buon senso, che va fondamentalmente regolamentata per legge nel modo migliore».
Qual è allora il ruolo dell’informazione, mentre aspettiamo che si risolva a livello legislativo quella che è una contraddizione in termini? Uscire dalla cornice delle bad news, della cronaca nera, non indulgere alle semplificazioni: il Rapporto mostra come i media, pur insistendo spesso su immagini stereotipate, stanno cercando modalità diverse: “nuove consapevolezze e tentativi di narrazione ispirati ad un diritto di cittadinanza sociale acquisito e rivendicato stanno emergendo senz’ombra di dubbio”.
E quanto a noi, bisogna aprirsi, informarsi, essere curiosi. È una sfida culturale quella che stiamo vivendo: sta a noi, Paese che accoglie, saper sfruttare al massimo questa possibilità e non vederla come un disagio. Carta di Roma si è messa in gioco con tutti i giornalisti, che a loro volta hanno messo in discussione il loro modo di lavorare per poter far trasparire la necessita di cambiamento. Cambieranno i cori da stadio, cambieranno gli ipocriti stupori davanti agli sbarchi, cambierà l’opinione sulle donne migranti e sulla questione dello ius soli, perché tra i governanti del futuro ci sono anche le seconde e le terze generazioni. Arriverà, anche in Italia, il rispetto che ci caratterizza come cittadini italiani, ma ancor prima del mondo.

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