Attualità
Lo stato di salute delle nostre scuole
Ristrutturatele!
I dati sugli edifici scolastici rivelati dall’ultimo Rapporto Ecosistema Scuola non consegnano ancora un quadro sufficientemente positivo. E a Sud si è ancora troppo indietro
Ilenia Vitale | 5 febbraio 2016

Dopo lunghi silenzi e soli pochi importanti interventi, torna a crescere in Italia l’attenzione per l’irrisolto problema dell’edilizia scolastica. E i dati non sono incoraggianti. A inquadrare la situazione la recente pubblicazione del XVI Rapporto Ecosistema Scuola, l’indagine annualmente condotta da Legambiente sulla qualità dell’edilizia scolastica nel nostro Paese, delle strutture e dei servizi della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado in 96 capoluoghi di provincia. 

 

1 SCUOLA SU 3 A RISCHIO

Il Nord del Paese guida la graduatoria della qualità con Trento al primo posto, seguita da Reggio Emilia (2º) e Forlì (3º). Subito dopo Verbania (4º), Piacenza (5º), Biella (6º), Bolzano (7º), Pordenone (8º), Brescia (9º) e Gorizia (10º). Il Sud Italia e le Isole rimangono invece nelle ultime posizioni. E quest’anno la stessa Capitale è tra le città escluse dalla graduatoria, perché ha inviato meno del 50% dei dati richiesti. Il 39% degli edifici adibiti a funzioni scolastiche necessita di urgenti interventi di manutenzione e il 29,3% è in aree a rischio sismico. Di contro aumentano in media gli investimenti per la manutenzione straordinaria e ordinaria, ma questo non basta.

Insomma, un bilancio triste per un Paese come l’Italia, che sembra però non voler investire abbastanza nei luoghi della cultura. Nelle agende dei Governi la questione “edilizia scolastica” ha infatti ancora un ruolo secondario e non si potrà parlare di veri miglioramenti fino a quando «nelle fasi di mantenimento e ricostruzione degli edifici scolastici non interverranno adeguate politiche di programmazione e di metodologia modulata», spiega Vanessa Pallucchi, responsabile nazionale di Legambiente scuola e formazione. 

 

IL SUD ARRANCA

Dopo anni di incuria e di non-gestione è difficile rilanciare la sfida “Scuole belle e sicure”, soprattutto se la disparità tra Nord e Sud del Paese non è irrisoria. Una sproporzione probabilmente effetto delle (in)capacità politiche delle amministrazioni nella gestione dei finanziamenti. In più, il Nord, come ben noto, è destinazione di flussi migratori e questo si traduce in percentuali demografiche maggiori e in maggiore assorbimento di popolazione scolastica, terreno sul quale invece nel Sud si registra un triste impoverimento. Nonostante ciò, è indubbio che la differenza la facciano gli investimenti. E in tal senso si può parlare di “tanti Sud e di tanti Nord’’ all’interno della stessa Italia. «Tra gli indici valutativi dell’indagine di Legambiente da poco sono rientrati i numeri degli investimenti fatti dai governi per l’edilizia scolastica, validi solo se consistenti e ricorrenti», spiega Pallucchi. Trento, che conta nei bilanci governativi importanti investimenti per l’edilizia scolastica, si è quindi guadagnata il primo posto in classifica, avendo comunque a suo vantaggio anche il non essere una grande città. 

 

TORINO E MILANO FUORI DALLA TOP20

Un discorso a parte va di certo fatto per le metropoli, dove è visibilmente più difficile la gestione e il monitoraggio della situazione. Pur essendo città del Nord, metropoli come Torino e Milano non compaiono, infatti, neanche nella top20 della classifica di qualità e Genova è solo 69°. Questo comunque non giustifica l’in-operato delle Amministrazioni locali, che peraltro,  gestendo città più grandi, hanno accesso a maggiori finanziamenti. Genova però costituisce un caso isolato e sofferto, aggravato dal dissesto idrogeologico e lo sa bene Legambiente, che valuta il territorio nella sua globalità. Nel complesso, per i territori sottoposti a rischio sismico per il mantenimento e il rifacimento dell’edilizia scolastica sembra che qualcosa si stia muovendo, soprattutto in zone come quelle dell’Emilia Romagna e soprattutto dopo i terremoti degli ultimi anni, quando purtroppo la campanella suona sempre solo a tragedia avvenuta. D’altronde le scuole dovrebbero essere i primi centri di accoglienza in stato di calamità in zone terremotate. 

Prima di tutto questo, è necessario però che sia rivalutata la cultura del “ben costruito” e del “ben mantenuto” e che ciò avvenga in maniera omogenea in tutto il Paese, perché «se nelle nostre mani non c’è la responsabilità di come geologicamente siano fatti i nostri territori, nelle nostre possibilità c’è il potente strumento della prevenzione». 

 

PERCHÉ SI AGISCE SULL’EMERGENZA?

La domanda che ora ci si pone è però tutta orientata al futuro e a quello che il Governo Renzi e il decreto della Buona Scuola potranno fare per le scuole italiane, che prima di qualsiasi idealizzazione, sono i luoghi fisici del diritto allo studio. Ad oggi, con il 39% di interventi urgenti per il mantenimento degli edifici scolastici, lo Stato ha sì riordinato i fondi economici già esistenti e inutilizzati, ma ne ha dato accesso solo alle amministrazioni che già stanno lavorando a progetti di riqualifica degli edifici scolastici. Davvero utile, invece sarebbe aiutare chi (ammesso pure per inadeguatezza) non riesce ad avviare i programmi di riordinamento edilizio. Fino a quando questo non si farà, non si potrà superare la disparità territoriale. «Questo governo ha avuto il merito di costruire una struttura di missione dell’edilizia scolastica in anni in cui c’erano fondi non spesi. Il passo in avanti dovrebbe essere la programmazione: quello che critichiamo della buona scuola è che vengono fatti interventi estemporanei, utili sì, ma che non sono messi a sistema. Sembra che le scuole italiane siano considerate e trattate come fossero realtà a sé, come fossero aziende indipendenti», conclude Pallucchi. 

Si legge spesso che per una scuola che esce da uno stato di emergenza ce n’è un’altra che vi entra, proprio perché manca una programmazione definita a priori e non sulle emergenze.  

In tutto questo, comunque, non si possono e non si devono fare generalizzazioni: ci sono infatti realtà italiane che politicamente, amministrativamente, eticamente e culturalmente si distinguono in positivo, facendo delle “buone scuole” il fiore all’occhiello della loro gestione. Sono queste realtà il punto da cui ripartire per mettere davvero l’educazione al primo posto, sotto tutti gli aspetti.

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