Cinema e Teatro
I vendicatori di Marvel Comics sono tornati
“Avengers: Endgame” e quell’atmosfera più cupa e inquietante del solito
Asia Nocco, 18 anni | 30 maggio 2019

È sempre difficile mettere la parola fine, specie se a giungere al termine è qualcosa di importante, se alle spalle hai un progetto che nella sua straordinarietà sembrava quasi escludere a priori ogni eventuale conclusione. Eppure con Endgame si recidono definitivamente i legami tra il mondo reale e quella dimensione parallela tirata su in undici anni dal Marvel Cinematic Universe, ventidue film per circa 60 ore di proiezioni e un considerevole numero di benamati personaggi che demiurgicamente hanno plasmato e irrimediabilmente definito la cultura pop di un intero decennio. 

Impensabile parlare di Marvel non richiamando alla memoria il genio creativo di Stan Lee, senza il quale non esisterebbe gran parte di quei supereroi, dei cattivi e dei comprimari che riempiono le pagine dei fumetti Marvel da ottant’anni a questa parte, nati dalla collaborazione con alcuni dei più importanti disegnatori della Comics di sempre, dal noto Jack Kirby a Steve Dikto, da Gene Colan a John Romita. 

Personaggi che trovano la loro consacrazione al grande pubblico nelle produzioni cinematografiche del franchising più redditizio della storia del cinema, un successo globale senza precedenti il cui coadiuvante è da ritrovarsi nella sapiente e lungimirante gestione di Kevin Faige, presidente dei Marvel Studios, che si è saputo lasciare alle spalle i difficoltosi contenziosi con le case di produzione proprietarie dei diritti di alcuni personaggi per condurre l’universo Marvel verso la massima espansione. 

Un viaggio intergalattico partito nel 2008 con il primo dei tre film dedicati ad Iron Man e che è andato man mano ad approfondire i protagonisti di quel variegato pantheon fatto di uomini e divinità, ombre e luci, ordinarietà e straordinarietà, attraverso una scrittura dei personaggi che non ha paura di metterne in risalto i lati deboli piuttosto che i punti di forza, in un equilibratissimo mix di azione e riflessione, humor e profondità che è un po’ il fil rouge, un po’ la ricetta vincente dell’intera serie. 

La terza fase del MCU, che si chiuderà a luglio con Spider-man: far from home registra ad oggi incassi miliardari che non lasciano spazio ad interpretazioni sulla portata del cosiddetto “fenomeno Avengers”, in grado di raccogliere consensi anche dai più accaniti fan del fumetto tradizionale, in grado di accattivarsi la simpatia di un pubblico internazionale e di età variegata. Un prodotto che nella sua essenza mainstream riesce comunque a sorprendere la critica, che non può fare a meno di constatare il convincente lavoro alla regia dei fratelli Russo, ormai habitué del genere, che con Endgame riescono nel difficile compito di soddisfare le aspettative degli appassionati senza cadere nel fanservice o nell’ipocrisia. La sceneggiatura risulta sorprendentemente rispettosa dell’individualità degli interpreti principali, conducendo dignitosamente ogni storyline al proprio epilogo, lasciando allo stesso tempo intravedere dei possibili sviluppi futuri in vista di una quarta fase. Le prime e le ultime scene di Avengers: Endgame prendono luogo in un’atmosfera di calma e raccoglimento. Nel mezzo quella che viene raccontata è una storia epica che coinvolge un’intera galassia, che prende luogo oltre lo spazio e il tempo, culminando in una battaglia di riallineamento temporale in cui a scontrarsi sono vasti eserciti di supereroi. Eppure in qualche modo si mantiene quella sensazione di intimità lungo l’intero arco narrativo della pellicola: si precipita verso pianeti alieni, si viaggia nel tempo, ma lo si fa in compagnia di quel gruppo di fedelissimi personaggi che abbiamo imparato ad amare e conoscere in questo primo decennio di MCU. Ed è intrigante come questi si trovino ad affrontare un problema contro il quale i loro poteri sono quasi irrilevanti: contro Thanos contano relativamente la potenza di un martello o l’abilità nel combattimento: a fare la differenza ora è lo spirito di coesione, è la forza del carattere dei singoli elementi. In questo contesto, gli aspetti tecnici del film sono quasi messi in secondo piano dall’alto livello di coinvolgimento emotivo che la pellicola riesce a stabilire: la musica, il design, gli effetti speciali non sono che un mezzo (più che ben collaudato e, sicuramente, imprescindibile) per far muovere i personaggi che abbiamo conosciuto ed imparato ad amare. È comunque da riconoscere ad Endgame un certo fascino visivo che, seppur riprendendo fedelmente lo stile degli altri film, si distingue talvolta per delle atmosfere più cupe e inquietanti, in una fantascienza che tende quasi al noir nella luce cosmica che stordisce uno stremato Tony Stark in uno dei fotogrammi iniziali

Endgame, pur nelle sue imperfezioni, offre una conclusione sicura e rassicurante per le icone di questa mitologia degli anni dieci, cento ottanta minuti che celebrano un iter produttivo partito timidamente e terminato tra la commozione del pubblico in sala. 

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