Cinema e Teatro
In “Parasite” succede veramente di tutto
Colpi di scena, generi diversi all’interno della stessa opera: quando il cinema coreano stupisce l’Europa, strizzando l’occhio alla denuncia sociale
Riccardo Cotumaccio | 9 gennaio 2020

Capita quasi sempre di approcciarsi al cinema coreano con un pizzico di scetticismo, essendo - da italiani - storicamente filoeuropeisti sul tema. Bong Joon-ho è nato lontano da qui, a Taegu, esattamente cinquant’anni fa e i suoi film hanno da subito trovato grande successo: nel 2003 dirige Memories of Murder conquistando il plauso di critica nazionale e internazionale; pochi anni dopo presiede la giuria di Cannes e sempre in Francia, pochi mesi fa, si aggiudica la Palma d’Oro per Parasite, ultima opera distribuita nelle sale di tutto il mondo. Insomma, quello scetticismo lo ha letteralmente preso e buttato nel cestino. Più volte.

Kim Ki-taek, sua moglie Chung-sook e i figli Ki-woo e Ki-jeong vivono in un seminterrato al termine di una piccola strada sporca e inquinata, in condizioni di estrema povertà. Lavori modesti e a breve termine impediscono ai quattro di assicurarsi un futuro solido, nella cornice di una Corea divisa tra i fasti della classe borghese e la rovina delle periferie cittadine. Due comuni denominatori li uniscono: il grande affetto reciproco e la particolare scaltrezza dei due adolescenti, i quali - grazie a un piano inaspettato ma tutt’altro che improvvisato - riescono a farsi assumere come insegnanti di inglese e storia dell’arte nella villa di una ricca famiglia coreana, disposta a pagar lautamente i due intrusi pur di assicurare ai loro figli un’educazione di primo livello.

Parasite parte in sordina per poi esplodere dopo neanche mezz’ora di trama, vestendo l’abito di una classica commedia familiare salvo poi aprirsi come un colorato ventaglio di generi davanti al suo pubblico. Dal thriller all’horror, passando per il paradossale e lo splatter: la trama è una continua montagna russa di emozioni e colpi di scena, capace di generare trame su sottotrame con il ritmo incessante di chi sa dove vuole andare a parare. Il finale, per certi versi tarantiniano, risulta comunque in grado di rappresentare al meglio la vera denuncia della pellicola: quella contro l’estrema povertà del paese in contrasto con la ricchezza di pochi. È un film sulla lotta di classe in cui però il messaggio non annoia né stanca, pur arrivando al cuore dello spettatore.

Commenti