Cinema e Teatro
Da Antigone a Pantani
La verità, vi prego, sul campione
La drammatica vicenda del campione di ciclismo, ma non quella che ci hanno trasmesso i media. È il rito della memoria messo in scena da Marco Martinelli, regista di “Pantani”, che è anche un tassello di storia del nostro Paese
Federico Brignacca | 10 dicembre 2013
Perché ha scelto la figura di Pantani? Come nasce l’idea dello spettacolo?
Premetto che non ero tifoso di Pantani, ma sono precipitato dentro questa storia e mi sono reso conto che era molto importante, non solo perché è una vicenda tragica individuale di un campione, ma perché attraverso di essa e attraverso lo sport potevo raccontare l’Italia degli ultimi venti, trent’anni e il fango in cui è immersa.

Cosa rappresenta nel pensiero comune la vicenda Pantani?
Per tanta gente che si è bevuta le falsità dei media è la storia di un dopato che è morto in un mare di cocaina. È una leggenda nera, quella che gli antichi romani chiamavano la damnatio memoriae, quando volevano far scomparire dalla memoria pubblica qualcuno che era stato una figura molto importante nel passato. Il nostro lavoro aiuta molti ad aprire gli occhi. Tanti spettatori che non sanno nulla di Pantani escono dallo spettacolo avendo sentito un’altra verità, che è quella che i genitori di Marco stanno cercando di portare avanti da anni.

Le fonti cui ha attinto quindi sono soprattutto le testimonianze della famiglia?
Io per due anni ho letto di tutto e ascoltato tanta gente, in primis i genitori, Tonina e Paolo, che nello spettacolo sono al centro di questo rito della memoria, ma ho sentito anche la sorella Manola e poi Conti e Fontanelli, che sono stati due tra i gregari amici di Marco, ma anche tante altre figure che lo hanno conosciuto.

Chi sono gli altri protagonisti dello spettacolo?
Un’altra figura molto importante, accanto a quelle dei due genitori, è l’“inquieto”. L’ho chiamato così. È un giornalista francese che non accetta la vulgata su Marco Pantani e ricostruisce alcune fasi importanti della sua vita, sia sportiva che non. Se Tonina e Paolo incarnano la memoria del cuore, l’“inquieto” è una figura ovviamente più distaccata. L’“inquieto sono io”, siamo noi, quando non accettiamo passivamente le verità della televisione. Oltre a queste figure ce ne sono altre che non ho contattato direttamente, come l’allora ministro Gasparri, che all’epoca si espresse su cose di cui non sapeva nulla, e il bandito Vallanzasca, che in carcere ebbe delle rivelazioni importanti sulla vicenda sportiva di Marco. Ci sono quindi anche personaggi della nostra Italia la cui vita si è incrociata con quella di Pantani.

Ci può dire qualcosa sulla scenografia e sullo spazio scenico?
L’allestimento è essenziale e simbolico, con un grande video al centro, da un lato un divanetto che allude a quello di casa Pantani e dall’altro il leggio dell’ “inquieto”. Non è una scenografia, come dicevo, è un rito della memoria in cui sono coinvolti gli spettatori.

Sulle note di presentazione dello spettacolo leggiamo che c’è un’analogia con l’Antigone di Sofocle: qual è qui il contrasto fra “legge” e “natura”, in cosa si traduce?
La tragedia greca ci è venuta in soccorso nel ripercorrere la storia di Marco. Abbiamo pensato in realtà ad Ecuba, perché Tonina è una sorta di Ecuba romagnola, e ad Antigone, perché quello che da dieci anni a questa parte stanno tentando di fare i genitori è un po’ come il gesto della protagonista di quella tragedia: cercano di seppellire veramente il figlio, che in quella leggenda nera è come se fosse morto fuori dalla mura e non avesse trovato la giusta sepoltura. Non c’è l’intento di santificarlo, né retorica, ma è una memoria che va ricostruita con verità.

Perché noi ragazzi dovremmo andare a vedere Pantani?
In generale andare a teatro è come leggere dei libri: sono gesti di bellezza e libertà. Se volete avere il piacere di essere davvero dei cittadini, se non volete essere meri consumatori delle merci che vi vengono imbandite tutti i giorni, il teatro è uno dei modi più profondi e turbolenti di esprimere la propria cittadinanza.

Ma lei si sente più passista, scalatore o velocista?
Forse pecco di immodestia, ma mi sento un po’ tutti e tre, perché in questi trent’anni di teatro mi è sembrato a volte di fare lunghe sgroppate in pianure che sembravano non finire mai, a volte di scalare montagne altissime e faticosissime e talvolta di piazzare lo sprint al momento giusto.

La scheda
17 Dicembre/20 Dicembre 2013
Teatro Duse, Genova
Produzione: Teatro delle Albe
Le manège Mons - Scène Transfrontalière de création et de diffusion asbl
Regia e ideazione: Marco Martinelli
Interpreti: Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Francesco Formino, Laura Redaelli, Pino Roncucci
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