Cinema e Teatro
Per non dimenticare
Tutto in una notte
Olmi di nuovo alla regia con “Torneranno i prati”, dove il silenzio della trincea ci descrive in maniera originale e diretta la Prima guerra mondiale. Oltre le date dei libri di storia. Ne abbiamo parlato con il protagonista, Alessandro Sperduti.
redazione | 6 novembre 2014
La storia raccontata è reale: quanto è stato difficile portarla sul grande schermo?
È stata un’esperienza intensa. Le riprese sono durate un mese e mezzo all’incirca, tutte girate nei veri luoghi della guerra. Uso l’aggettivo intenso perché, ad esempio, le condizioni atmosferiche non aiutavano: c’erano freddo e neve. Se questo forse non ha aiutato dal punto di vista organizzativo, è servito molto ad immedesimarsi.
Qual era la vostra giornata tipo? Sul set dalla mattina alla sera. Molto spesso giravamo la notte ed era incredibile quanto fosse magico: le situazioni che si creavano, l’atmosfera, ti portavano non più a recitare, ma a vivere proprio quelle scene. Anche il paesaggio dell’altopiano, così lunare, bastava da solo a trasmetterti forti emozioni.

Parlaci del tuo personaggio.
È un giovane tenente che fino al momento raccontato nel film aveva vissuto la guerra nel suo ufficio, fra le sue carte. Poi si ritrova faccia a faccia con cosa significa veramente stare in guerra, vede ragazzi giovanissimi in trincea praticamente mandati incontro alla morte come se niente fosse. Tutto questo suscita il lui delle reazioni.

Il film è ambientato in una sola notte: la forza sta tutta nei dialoghi?
Devo premettere che a girarlo è stato un maestro, quindi già la forza sta in questo. Non direi solo nei dialoghi, ma anche nei silenzi, nelle emozioni che trapelano, nei paesaggi che si vedono. Vedendo il film bisogna lasciarsi trasportare, lasciarsi andare alle emozioni.

Come è stato lavorare con Olmi?
Un’esperienza grandiosa, a livello professionale ma anche umano. È un uomo incredibile, con una cultura immensa e ti trasmette una pace interiore. Ho imparato tantissimo da lui e anche se dopo il film mi sono sentito svuotato emotivamente, ho subito avuto la consapevolezza di aver vissuto una cosa unica.

Cosa ti ha lasciato questo film e cosa speri che lasci al pubblico?
Quando si studia a scuola la Prima guerra mondiale, nella maggior parte dei casi non sei coinvolto abbastanza. Il tutto si riduce a una lezione fatta di parole, che spesso rimane lì. Facendo questo film ho capito invece più da vicino cosa significava per un ragazzo della mia età, o anche più giovane, allontanarsi dai propri affetti ed essere buttato al macello per interessi più grandi, spesso a lui ignoti. “Vivere” o comunque interpretare determinate situazioni è molto di più che studiare i movimenti della guerra. E spero che anche vederle aiuti ad approfondire questo aspetto inedito, ma verissimo, della guerra.

E come descriveresti allora la trincea?
Un posto isolato, claustrofobico. Un luogo lontano dall’essere umano. Un non luogo.

Uno dei produttori del film ha detto che andare a vedere Torneranno i prati dovrebbe essere un dovere morale: perché?
Per capire che il passato non è legato a un libro. Per lasciarsi suggestionare ed emozionare. Per comprendere cosa è successo davvero e cosa, purtroppo, sta ancora succedendo in troppe parti del mondo.
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