Interviste
Riprendersi la vita
I filosofi se lo sono sempre chiesto, e in questo periodo l’interrogativo è più attuale che mai
Nicolò Inzaina | 10 maggio 2020

Cos’è il tempo e come dobbiamo gestirlo? La questione ha sempre affasciato i pensatori sin dalle origini della filosofia stessa, e tutt’oggi si rivela come uno dei nodi cruciali da sciogliere, tanto più in un momento storico in cui le nostre vite si stanno ritrovando a fare i conti con l’abbondanza di tempo. Ne abbiamo parlato con il Professor Riccardo Chiaradonna, docente di filosofia antica all’Università di Roma Tre.

Basterà il tempo che abbiamo per rispondere esaurientemente alla domanda sul senso del tempo?

I filosofi antichi dicevano che, in fondo, noi parliamo sempre del tempo, ma se qualcuno ci chiede cos’è non sappiamo dirlo. Il tempo è una cosa che fa parte della nostra esperienza, ma è anche la più misteriosa. In questa chiacchierata possiamo dare degli spunti di riflessione sul tempo più che chiarire le idee.

Il tempo ha una dimensione oggettiva o soggettiva?

Il tempo ha certamente una dimensione scientifica: la fisica moderna studia il tempo con certe coordinate; però il tempo ha anche una dimensione soggettiva e psicologica: il tempo della mia vita, come vivo il tempo, cosa faccio nel tempo. Le due dimensioni sono assolutamente legate tra di loro.

Crede che il tempo sia una mera illusione della realtà? Se sì, allora perché ne siamo condizionati?

Non credo che il tempo sia un’illusione della realtà; anzi, è una struttura della realtà. Ma può essere illusorio un certo modo di percepire il tempo. Noi siamo stati abituati ad un tipo di civiltà che negava il passare del tempo... l’idea che si debba essere sempre giovani, sempre al massimo delle prestazioni. Credo ci sia stato un rapporto illusorio rispetto al tempo, soprattutto perché la nostra civiltà è sempre focalizzata sul presente e quindi si vive l’illusione per cui si è tutti giovani e performanti. Ma il tempo è la realtà; il modo in cui noi ce lo vogliamo aggiustare per i nostri fini particolari è illusorio.

Lei crede che ci possa essere un modo più di un altro per disporre l’anima a godere appieno del tempo?

Seneca comincia le sue Lettere a Lucilio con queste parole: “Rivendica te a te stesso e riprenditi il tempo che ti viene sempre sottratto”. Riprendere la propria vita significa fare un uso consapevole del proprio tempo. “E non permettere che il tempo sia sprecato, sia disperso”. Questo non significa che uno deve fare tante cose nel tempo, anzi! L’idea di questa lettera è che, quando uno fa tante cose, poi, finisce per perdere una vera consapevolezza di sé stesso. Si tratta di lavorare nel tempo in profondità più che in estensione. Il messaggio di questi pensatori è di riappropriarsi della propria gestione del tempo.

Pascal propone il “divertissement” come antidoto contro la noia. Occupare il tempo sempre e a tutti i costi con qualcosa che ci distragga è positivo?

Anche i filosofi antichi conoscevano qualcosa di simile e criticavano le persone che fanno tante cose e dicevano, ma è un atteggiamento tipico soprattutto della civiltà più recente. Pensiamo all’esaltazione del multitasking, del fare tante cose assieme, che poi significa non farne nessuna bene, non farne nessuna in maniera approfondita. Però resta l’interrogativo di come si combatte la noia; e la si combatte, credo, non tanto fuggendola, ma facendo delle cose in cui si trova senso, gusto, appagamento. Questa è una delle ragioni per cui in questi mesi così tristi, la noia diventa per molti veramente insormontabile.

Il tempo che stiamo trascorrendo a casa, in questi giorni di quarantena, è da considerarsi sprecato?

Io non sono tra quelli che dicono quanto sia bello restare a casa e riappropriarsi dei ritmi lenti, perché ci sono persone che perdono il lavoro; bisogna essere coscienti che il momento è drammatico. D’altra parte, però, lo stare a casa ci mette davanti a tutta una serie di riflessioni, occupazioni, sfide che spesso evitiamo. Questa è una situazione brutta e drammatica - bisogna chiamare le cose anche con il proprio nome -, che sta cambiando in maniera molto brusca tutta la nostra vita. Però è un momento in cui si deve riprendere coscienza e arricchire la nostra conoscenza critica del mondo. Perché questa pandemia ha avuto questi effetti devastanti? In quale mondo vivevamo? Quali sono i limiti di quella civiltà? Quali sono i punti di forza? Questo tempo sottratto all’esteriorità può essere un tempo recuperato alla profondità. Tanti pensatori mettono in antitesi l’estensione e la profondità. Il mondo degli ultimi decenni è stato un mondo in cui si è lavorato tanto in estensione, ma forse non tanto in profondità. E certamente questa situazione così rovesciata ci invita a una ricerca di profondità.

Quindi la quarantena, più che un “tempo non tempo” è un “tempo pieno”, di cui si è protagonisti?

Chi ha un’attività ha la più grande ricchezza, in questo periodo. Insegnando filosofia, raramente si guadagna molto; però lo studioso ha una ricchezza enorme. Se lo studioso ha una motivazione per quello che fa, non conosce la noia. Io non so cos’è la noia. C’è sempre un aspetto da approfondire, da conoscere, da studiare. Non conoscere la noia è una ricchezza enorme nella vita, che ci aiuta a superare i momenti più difficili, dolorosi.

La quarantena ci costringe a trascorrere molto tempo chiusi. È convinta che queste lunghe giornate possano avvicinarci di più alla comprensione del tempo?

Sicuramente ce lo mette davanti e ci spinge a fare i conti con una dimensione del tempo di cui non siamo padroni, una dimensione che regola noi stessi, in cui noi dobbiamo trovare il nostro ruolo. Una volta era sempre così: pensiamo alla civiltà contadina, al senso delle stagioni e ai cicli… poi si è pensato di poterne farne a meno, di potersi gestire la realtà. In questi mesi così dolorosi, siamo stati immersi in un “bagno di realtà”, soprattutto per la parte del mondo più ricca, che ci fa vedere che non tutte le cose sono nel nostro controllo. Gli antichi greci dicevano che la conoscenza ha a che fare con la sofferenza. Chi soffre conosce davvero il mondo.

E se dovesse vivere la quarantena nei panni di un filosofo, quale sceglierebbe?

Direi Spinoza, per la sua capacità di vivere in maniera filosofica e saggia un momento tempestoso. Il suo pensiero filosofico è molto complesso e raffinato, ma è riuscito a incarnarsi in una vita coerente con quel pensiero. Senza razionalismo non si fa niente, senza esperienza non si fa nulla, ma ci dev’essere una capacità di comprensione. Spinoza diceva che “Non bisogna né piangere né ridere, ma capire”; non significa che dobbiamo essere apatici, ma ci insegna che solo la comprensione ci porta ad elaborare davvero la realtà.

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