Interviste
A tu per tu con Pietro, il 14enne che cura la nonna attraverso la cultura
Pietro ci racconta com'è essere l'insegnante di sua nonna, un progetto inziato per gioco da piccolo che lo ha portato a risultati inattesi
Serena De Conciliis | 16 giugno 2020

Pietro Bartoloni, 14 anni, viene da Roma e con la nonna Marisa, affetta da una malattia che provoca un progressivo declino cognitivo, ha iniziato da anni un percorso di studio, per il quale è stato premiato lo scorso aprile dal Presidente della Repubblica, con il titolo di Alfiere.

Lo scorso aprile il Presidente della Repubblica ti ha nominato Alfiere della Repubblica per la costanza con cui ha seguito tua nonna malata,  diventando suo “insegnante”. Te l'aspettavi? Che emozioni hai provato?

Sicuramente non me l'aspettavo, è stata una sorpresa. Nel momento in cui l'ho saputo stavo studiando in camera mia, è arrivata una telefonata improvvisa e ho risposto. Era già un anno che mio nonno e la dottoressa di nonna mi avevano nominato, è stato qualcosa di davvero inaspettato e quando l'ho saputo sono stato felicissimo. Non sapevo bene cosa significasse Alfiere, me l'hanno spiegato ed è stato molto bello.

E tua nonna come ha reagito? Alla premiazione e al tuo insegnamento.

Del riconoscimento nonna non è proprio consapevole, gliel'ho provato a dire più volte, ovviamente era felice, ma non si rende molto conto di tutto ciò. Del percorso che abbiamo fatto da quando avevo sette anni, e che continua anche oggi, lei è contenta, perché ha una persona con cui parlare. In questo periodo ci siamo sentiti a distanza, è stato un po' difficile, però ho scoperto che con lo studiare insieme, impare, leggere, scrivere, ci divertiamo continuamente, nonna riesce ad avere sempre una persona che le sta accanto e non è peggiorata con la malattia.

Quando hai iniziato ad essere l'insegnante per tua nonna, ti aspettavi questi risultati anche dal punto di vista medico? 

Questo proprio no. Andavo in seconda elementare, è iniziato proprio come un gioco, stavamo davanti alla lavagnetta dopo scuola, a casa mia, abbiamo cominciato a scrivere le lettere, i numeri e da un gioco è diventato quasi un impegno. Ricordo che già in prima media la dottoressa, che segue nonna da tanti anni, ha detto di non aver visto peggioramenti, e mi ha spronato a continuare. Per me è stato un piacere ed è rimasto un gioco alla fine.

Cosa le insegni? Come strutturi le lezioni? Sei un professore severo?

Abbastanza. Da quest'anno io sono al liceo, frequento il liceo classico, e abbiamo iniziato ad affrontare lo scoglio del latino, del greco, ma anche la matematica; alcune materie che sono comunque complicate. Durante le lezioni lei è molto attenta, prende appunti, abbiamo comprato un quaderno per ogni materia, io ho ancora la lavagna dove spiego l'argomento, facciamo sempre qualche esercizio insieme e poi delle volte facciamo dei piccoli test, delle verifiche. Almeno una volta al mese facciamo un tema di italiano, l'ultimo che ha scritto è stato un racconto sulla danza, l'emozione di salire per la prima volta sul palco, visto che lei è stata una ballerina. Virtualmente è stato più difficile, ma abbiamo comunque continuato.

Perchè, secondo te, ti è stato conferito questo riconoscimento? Cosa ci insegna la tua esperienza?

La mia storia penso che possa insegnare che basta veramente pochissimo per fare qualcosa di grande. Bastano piccole cose, basta anche un gioco, basta donare un po' del proprio tempo alle persone che ne hanno più bisogno. Se ognuno di noi fosse più altruista, più gentile e generoso, si potrebbe ottenere un grande traguardo comune, un mondo migliore.

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