Libri
"Il nome di mio figlio": l'autobiografia di Federica Afflitto
Presentazione del libro con cui la giornalista condivide la storia della sua maternità portata avanti assieme alla lotta contro il cancro
Giulia Costantino | 11 dicembre 2020

Ci avviciniamo sempre di più a Natale, e Zai.net coglie l’occasione per dare uno spunto sia per un regalo che per una riflessione. Federica Afflitto, con il suo libro: “Il nome di mio figlio”, condivide la sua storia nella quale si è ritrovata costretta a decidere se portare avanti o meno la sua gravidanza a causa di un tumore.

Lei ha deciso di mettere su carta quello che le stava succedendo. Cosa l’ha spinta a farlo?

Inizialmente l’idea era quella di scrivere un diario per mio figlio. La paura che potesse non conoscermi e pensare che in un certo senso l’avessi abbandonato era troppa, quindi volevo che gli restasse qualcosa di me nel caso fosse successo il peggio. Volevo raccontargli tutti i nove mesi che abbiamo trascorso insieme e fargli conoscere la sua mamma. Solo due anni fa è nata l’idea di trasformare quel diario in un libro per condividere la mia storia.

Nella sua esperienza si è dovuta ritrovare ad affrontare contemporaneamente una grande preoccupazione e una grande gioia. Come è riuscita a gestirlo? Ci sono dei momenti in cui una sensazione ha prevalso sull’altra?

In realtà per me c’era una sensazione che prevaleva nettamente sull’altra. Non mi sento di dire che ho mai avuto paura per la mia vita, ma solo per come sarebbe potuta essere la vita di mio figlio senza di me. Vedevo le persone intorno a me preoccupate, specialmente nei momenti più difficili in cui sembrava che non ce l’avrei fatta, ma la gioia del diventare madre prevaleva su tutto. Pensavo solo ed esclusivamente a lui.

In questo periodo si sta facendo strada l’idea di una donna emancipata, che deve mettere se stessa al primo posto. In situazioni del genere non è però così scontato. Quanto può essere difficile per una donna fare questa scelta?

A livello di scelta per me non è stata particolarmente difficile. Quando il medico che mi seguiva mi disse che non mi avrebbe più curato se avessi portato avanti la gravidanza, non ci ho pensato due volte a cambiare medico. Non avevo nessuna intenzione di abortire. Quello che si prova quando si diventa madre, anche se il bambino ancora non è nato, va oltre qualsiasi stereotipo sociale come quello della donna emancipata.

C’è qualcuno in particolare a cui vorresti mandare un messaggio con il tuo libro? Qualcuno a cui potrebbe dare forza e ispirazione?

Il messaggio è soprattutto per tutti quei bambini rimasti orfani a causa della scelta delle madri di portare avanti la gravidanza. Non voglio che quei bambini pensino che le loro mamme li hanno abbandonati, quello che voglio comunicare è che la nostra è una scelta inevitabile. Il legame che lega madre e figlio è talmente speciale che nessuno mi avrebbe potuto convincere a prendere una decisione diversa da quella che ho preso.

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