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“Dall’indie all’It-Pop”: a tu per tu con Dario Grande
In occasione dell’uscita del suo libro ci siamo confrontati sull’evoluzione dei generi italiani
Francesco Zago | 7 maggio 2021

“E non è avere vent’anni / e non è avere gli esami / fidati è qualcosa in più”. Sono sicuro che tutto abbia avuto inizio dal Sorprendente album d’esordio de I Cani. La formula del nuovo it-pop era già tutta lì.

Nel rintracciare le origini dell’indie italiano, hai parlato dell’influenza del movimento punk di qualche decennio fa. Com’è avvenuto poi il processo di ‘italianizzazione’ delle pratiche punk, in primis l’etica DIY, e in che modo questa appropriazione ha modificato l’immaginario cui si ispirava?

L’appropriazione e italianizzazione delle influenze punk e post punk trova compimento, probabilmente, proprio con il passaggio da un cantato in inglese (molto diffuso tra anni ottanta e novanta nel nostro panorama musicale) a uno in italiano che rielaborava e mescolava elementi tanto dalla musica punk e alternative angloamericana quanto dalla canzone d’autore italiana. Mentre sul piano musicale le sonorità restarono prevalentemente di matrice rock (con tutte le sue varianti) i testi e le tematiche delle canzoni trovarono maggiori consensi proprio quando presentavano spiccati riferimenti al contesto sociale, politico e culturale dell’Italia di quegli anni e nei quali gli ascoltatori si potevano riconoscere. L’etica DIY adottata nella scena musicale italiana riprendeva l’approccio che gli artisti indie avevano all’estero racchiudendo nella sostanza gli stessi valori di autogestione.

L’approccio degli artisti alla comunicazione è stato un fattore centrale dell’espansione dell’indie, non solo con l’avvento abbastanza recente dei social, ma anche attraverso media più tradizionali. Qual è stato il peso di una comunicazione innovativa e coinvolgente nell’affermarsi prima dell’indie e poi dell’it-pop?

Oltre che con le canzoni (musica e testi), l’artista deve saper comunicare anche attraverso altri linguaggi che possono fare da complemento alla sua musica. Questi rappresentano ulteriori livelli di significato che sommati insieme concorrono a costruire e delineare quell’immaginario che l’ascoltatore associa all’artista. Se negli anni ’70 la comunicazione era riservata alla stampa (ufficiale e fanzine) e alle radio, con pochissimo spazio alla tv, l’arrivo di MTV scardinò quasi tutto, permettendo ai musicisti di ampliare il loro raggio di espressione, amplificando e valorizzando anche il lato dell’immagine rispetto ai contenuti, e catturare così nuovi fan. Le generazioni successive hanno avuto a loro volta nuovi strumenti a disposizione per amplificare la loro immagine artistica e sedurre il pubblico, sfruttando le community del web e la viralità della rete come un’arma. Non è bello da dire ma le possibilità che un artista al giorno d’oggi ha di farsi notare veramente dipendono spesso più dal suo utilizzo dei social e da ciò che fa da complemento alla sua musica che non dalla qualità della musica stessa.

Seguendo passo per passo l’evoluzione dell’indie, si assiste ad un abbattimento del confine tra nicchia e mainstream, tra “serietà” e disimpegno. Spie di questo mutamento sono il linguaggio e l’uso che gli artisti iniziano a fare delle parole. Come ci spieghiamo, per esempio, le radicali differenze tra un testo tratto da Germi e uno da Fuoricampo, posto che parliamo sempre di due album cantautorali?

Germi degli Afterhours (1995) è stato scritto da chi è nato negli anni ‘60, Fuoricampo dei Thegiornalisti (2014) da chi è nato negli ‘80. Già questo dovrebbe dirci molto riguardo alle influenze culturali che hanno contaminato questi artisti. Il primo si può considerare tra gli album simbolo dell’indie italiano anni ’90 e prende ispirazione da molta musica indipendente inglese e americana di quel periodo. Decadenza, sofferenza e temi spesso cupi e malinconici con riferimenti anche colti sono alcuni tratti caratteristici di quelle canzoni. Il secondo da un cantautorato disimpegnato figlio degli anni ‘80 italiani, più solare, edonista e spensierato. Con Fuoricampo i Thegiornalisti abbattono effettivamente un muro: dicono basta a un tipo di canzone che voleva imitare l’indie più colto e impegnato verso cui si sentivano in debito, per abbracciare uno stile più leggero e orecchiabile. Il nuovo cantautorato si ribella agli ormai opprimenti schemi del passato e ne ribalta le regole abbracciando contenuti frivoli, tematiche effimere e spesso rivelando anzichè il lato più colto e intellettuale degli autori, quello più scanzonato, ironico e “quotidiano”.

Nel libro non lo dici mai esplicitamente, e forse ce lo voglio leggere io, ma possiamo dire che il “grande cantautorato italiano”, con tutte le sue vette, sia stato anche un peso di cui disfarsi? Una stanza ricchissima e straripante da cui alcuni sono lentamente usciti, per crearsi il loro spazio?

Come avviene in ogni campo chi fa arte è costretto a misurarsi con i giganti del passato e con l’eredità che essi hanno lasciato. Sicuramente intorno a molti autori della canzone italiana classica si è creata un’aura quasi leggendaria. Questo fa si che chi vuole fare musica si trovi obbligato a un confronto quasi esagerato con questi autori perché ritenuti mostri sacri, e si senta incatenato al peso della loro eredità e al dover necessariamente prendere esempio da loro. La cosa bella è proprio quando nuove generazioni trovano il loro modo per rimettere tutto quanto in discussione, un po’ come è successo nel caso del nuovo cantautorato italiano. Questi nuovi autori sono tutti stati influenzati in qualche modo dai grandi del passato e il percorso artistico che alcuni di loro hanno compiuto mostra proprio una costante lotta interiore tra il voler ricalcare le orme dei “giganti” e il prendere una direzione diversa e personale. Conoscere chi è stato qui prima di noi è sicuramente importante ma poi tutto va rielaborato e reinterpretato per trovare una strada propria. Nella recente scena italiana si può dire che alcuni artisti hanno rimodernato il genere della canzone d’autore (pensiamo a Le Luci, Brunori, Caparezza, Fulminacci...), mentre altri hanno semplicemente rifiutato alcune eredità per elaborare stimoli differenti.

Due album che citi spesso, Mainstream e Fuoricampo, hanno in un certo senso iniziato l’avventura it-pop. Il disimpegno di qualità, la ricercatezza che dal contenuto del testo si sposta alla sua forma e all’immaginario poetico che costruisce (penso a pezzi come Cosa mi manchi a fare o Promiscuità). Cosa ha permesso questa nuova “ramificazione”?

Quando sono usciti quegli album il panorama musicale italiano si trovava in una situazione del tutto stagnante. La nicchia degli indipendenti, seppur prolifica, continuava a girare intorno al vecchio indie anni ‘90 ormai incapaci di dire qualcosa di concreto alle nuove generazioni. Il settore mainstream era bloccato da almeno quindici anni sempre sugli stessi nomi del pop confezionati dalle major e ormai insapori alle orecchie dei più. Sì avvertiva il bisogno di una ventata di aria fresca ma nessuno sapeva bene in che direzione cercare, ed ecco che personaggi come Calcutta e Thegiornalisti sono stati premiati perché hanno trovato esattamente ciò che le nuove generazioni (ma non solo) volevano ascoltare e cantare. Semplicemente hanno saputo esprimere in modo corretto e spontaneo i sentimenti che provavano senza più preoccuparsi di dover “reggere il confronto” con un cantautorato più colto e impegnato che era espressione di un periodo storico preciso e ben diverso da quello attuale.

Analizzando la scena musicale contemporanea, restiamo quasi stupiti da quanti progetti validi circolano in Italia. L’esito delle ibridazioni tra generi, estetiche, linguaggi è qualcosa a cui, tra qualche anno, guarderemo come si guarda oggi alla stagione dell’impegno anni ’60-’70? O qualche eterno snobista continuerà a negare l’affermarsi di un pop qualitativamente invidiabile?

Non è facile prevedere se avrà lo stesso riconoscimento della stagione del cantautorato più impegnato… Proprio il fatto che quel tipo di canzone era impegnata, socialmente e politicamente, la pone su un livello differente rispetto al cantautorato disimpegnato di oggi ed è quindi difficile intavolare un confronto qualitativo tra i due che abbia veramente senso. Gli eterni snobisti rimarranno sempre, così come probabilmente tra qualche anno verrà ricordato qualcuno dei nomi dell’it-pop di oggi che, il successo di pubblico lo conferma, ha sicuramente lasciato il suo segno nella storia musicale del nostro paese. Oggi possiamo dire che il pop italiano si è risvegliato rispetto a una decina di anni fa e al momento gode di discreta salute.

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