Libri
Thomas Mann, La morte a Venezia
Germano La Monaca | 4 novembre 2015

“Venezia, la bella maliarda ed equivoca, questa città un po’ fiaba, un po’ trappola per stranieri, nella cui atmosfera corrotta l’arte fiorì rigogliosa, e sbocciarono canti che cullano in sonni lascivi…” Con questa descrizione degli spazi per niente “fisica”, Thomas Mann tratteggia lo sfondo  di uno dei suoi racconti più celebri: La morte a Venezia.  È nell’atmosfera densamente cupa e alienante della città lagunare, che avviene l’incontro di Gustav Von Aschenbach con il giovane Tadzio, due protagonisti, due simboli di due inconciliabili sguardi sulla dura arte del vivere. “Connubio fra rigido e coscienzioso senso del dovere e impulsi oscuri e ben più ardenti” è definito il primo personaggio: un affermato scrittore di mezza età , impegnato nel rispetto rigoroso delle forme e consapevole del suo ruolo e del suo dovere verso l’arte; egli fugge dalla quotidiana vita a Monaco, spostandosi verso sud, e trascorrere un soggiorno nella bizantineggiante e calda Venezia, dove, in mezzo ad una “fauna” variopinta di personaggi, incontra il secondo protagonista della storia, Tadzio, adolescente personificazione della bellezza giovanile, da cui rimane folgorato e che diventerà ispirazione e nucleo della passione dello scrittore per tutte le giornate passate a Venezia. Tadzio è un ragazzo di quattordici anni le cui caratteristiche fisiche rispecchiano il canone di bellezza classico, viene descritto con gli stessi termini attribuibili ad un’opera scultoria greca, concentrando su tale personaggio la quintessenza della purezza e naturalezza giovanile (non a caso l’autore citerà una parte del Fedro di Platone “così per rendere visibile ai sensi un fatto dello spirito, anche il dio ama servirsi della fama e del colore della giovinezza umana”), rendendo vivida questa figura grazie all’immedesimazione che viene offerta al lettore attraverso gli occhi dello scrittore Aschenbach.

Sarà proprio l’incontro con questa figura a scatenare in lui, tutto dedito alla creazione di forme esatte e severe, a costo di reprimere e soffocare, in tale dedizione, le esigenze vitali, il violento scontro e l’irrimediabile divario tra la missione artistica e la coscienza della propria passione, e in senso simbolico e più alto, l’eterna lotta di matrice Nietzchiana tra equilibrio e caos, apollineo e dionisiaco, impeto e ragione. Dualismo che contraddistingue l’uomo in ogni sua manifestazione e che mai lo abbandonerà, dando vita al dolore, ma anche alla più alta forma d’arte. È sulle note della sinfonia n.5 di Gustav Mahler che va letto questo racconto, sentendo scivolare sullo sfondo una Venezia sempre grigia, in cui l’umanità sembra ridotta all’inespressività e i cui luoghi così spenti danno per l’appunto più spazio al dispiegamento della delicata bellezza giovanile di Tadzio e al violento dissidio interiore che muoverà lo scrittore in lungo e in largo sulla scena, alla ricerca di una sintesi, della via di mezzo, della virtù risanatrice in grado ci conciliare arte e vita. Un racconto breve ma denso, dalle tinte fosche ma particolarmente generoso con chi si nutre di bellezza, che lascia riflettere sul significato di questa nella vita di ognuno di noi, non lasciando al caso una risposta sulla questione della predilezione delle forme sul contenuto o viceversa, ma regalandoci una tangibilità “emotiva” dell’importanza e del rispetto di entrambe nella nostra vita.

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