Libri
Il reale? È ciò che stona
È folgorante incontrare Pennac, il romanziere che continua a raccontarci, attraverso i personaggi della famiglia Malaussène, il nostro mondo contradditorio e sempre più dominato dal denaro con uno sguardo in bilico tra gioia di vivere e disincanto
Redazione | 6 settembre 2017

Se avete amato i romanzi di Pennac e vi siete imbattuti nella sua variopinta famiglia Malaussène, allora avrete già fra le mani il volume dalla copertina arancione, uscito in aprile; se non li avete mai presi in considerazione, questa è l’occasione per scoprire un narratore che ribalterà le vostre certezze, vi appassionerà come un giallo, vi farà ridere da soli ritracciando i tic dei personaggi in qualcuno che conoscete, vi porterà nella complessità della vita senza mai salire in cattedra. 

Era il 1985 quando usciva Il paradiso degli orchi e cominciava la serie delle avventure di Benjamin Malaussène, personaggio diventato cult anche per la sua professione inconsueta di capro espiatorio perché “abbiamo tutti bisogno di un colpevole per sentirci innocenti, tranne poi adorarlo dopo averlo giustiziato”. Uscì nel 1998 quello che allora Pennac assicurò essere l’ultimo capitolo della saga, La passione secondo Thérèse. Dopo 19 anni il ripensamento, per la felicità dei lettori, arriva Il caso Malaussène - Mi hanno mentito, uno dei ritorni più attesi della narrativa contemporanea. È lo stesso Benjamin Malaussène a lanciarlo: “La mia sorellina minore Verdun è nata che già urlava ne La fata carabina, mio nipote È Un Angelo è nato orfano ne La prosivendola, mio figlio Signor Malaussène è nato da due madri nel romanzo che porta il suo nome e mia nipote Maracuja è nata da due padri ne La passione secondo Thérèse. E ora li ritroviamo adulti in un mondo che più esplosivo non si può, dove si mitraglia a tutto andare, dove qualcuno rapisce l’uomo d’affari Georges Lapietà, dove Polizia e Giustizia procedono mano nella mano senza perdere un’occasione per farsi lo sgambetto, dove la Regina Zabo, editrice accorta, regna sul suo gregge di scrittori fissati con la verità vera proprio quando tutti mentono a tutti. Tutti tranne me, ovviamente. Io, tanto per cambiare, mi becco le solite mazzate”. 

Eccoli, i personaggi della famiglia Malaussène, invecchiati di vent’anni, alle prese con un mondo dominato dal denaro, dai traffici e dalla violenza. Il libro si apre con il rapimento di Georges Lapietà, uno degli uomini d’affari più ricchi d’Europa, per il quale i rapitori chiederanno un enorme riscatto da distribuire ai poveri. Come nei romanzi precedenti, Benjamin finirà suo malgrado per essere coinvolto in una storia piena di colpi di scena, equivoci e false piste. E con lui tutta la famiglia. Lo racconta Daniel Pennac al Salone del Libro di Torino, durante un dialogo con Stefano Montefiori, corrispondente del Corriere da Parigi, un incontro che è molto più della presentazione di un romanzo.

 

Com’è cambiata la società in tutti questi anni?

La società apparentemente è cambiata moltissimo: gli smartphone, la fine di alcune professioni, la finanziarizzazione dell’economia, il crollo del muro di Berlino e l’avanzata del Fronte Nazionale. Io però interiormente sono rimasto lo stesso. Lo so che è una forma di follia, ma ho avuto voglia di ritrovare la stessa scrittura di allora, fatta di metafore, ritmo, una musicalità particolare. Mi sono rimesso facilmente nei panni di Benjamin, ripescando subito il suo sguardo sul mondo in cui coesistono gioia di vivere e disincanto scettico. Questo doppio registro si riflette nella scrittura, attraversata sempre dalla coscienza del carattere effimero del reale. Anche se poi, come Benjamin, so benissimo che non si sfugge mai al mondo, soprattutto oggi con le nuove tecnologie che ci inseguono dappertutto. Malaussène infatti è andato a vivere con Julie su un altipiano chiamato Vercors, dove non c’è nessuno, a Font d’Urle, duemila metri al di sopra di tutto. Vercors è una montagna martire poiché nell’estate del 1944 i nazisti hanno sterminato quasi l’intera popolazione. All’inizio del libro loro due vogliono essere lasciati in pace. Malaussène per lavoro deve sorvegliare lo scrittore Alceste, autore di romanzi vevè, di verità vera, basati sulla propria vita, accertarsi che scriva e che resti lontano dai riflettori dei media.

 

Cosa non le piace dei romanzi “verità”?

Non li critico, ma mi divertono sempre le persone che incarnano una certezza; la certezza di essere le uniche in grado di scrivere la verità vera. Penso ad Alceste di Moliére, Il misantropo, l’incarnazione di una convinzione, mi fanno ridere per come diventano personaggi letterari. Nella vita di Alceste la verità irrompe attraverso una ricerca con Google sui suoi genitori scopre la montatura; non esisteva la coppia di vulcanologi eroici di cui gli avevano parlato i suoi genitori adottivi, precipitati nelle viscere della terra dopo aver salvato la popolazione di un’isola del Pacifico. La vera domanda da porsi e che io mi sono fatto per anni è la relazione che abbiamo con la realtà. Per molto tempo ho cercato una definizione di reale; poi un giorno in auto stavo ascoltando alla radio una trasmissione su France Culture con Lacan che dialogava Jean Paul Sartre, Simone de Bevoir e altri intellettuali. A un certo punto Lacan si mette a gridare furiosamente: “Sono mesi che cerco di spiegare cos’è il reale. Adesso ve lo dico. Il reale è ciò che stona”. Ho parcheggiato l’auto cercando di calmare i battiti del cuore: finalmente qualcuno mi aveva dato una definizione accettabile. E la bugia? È tutto quello che cerca di nascondere la realtà. La menzogna è l’unico valore sacro della famiglia: quello che Alceste scopre sui suoi genitori adottivi.

 

Uno dei temi di questo romanzo è l’investigazione per scoprire chi ha rapito l’imprenditore chiedendo come riscatto la sua buonuscita, ovvero 22.807.204 euro. Una somma precisa, esorbitante. Come mai?

Ho scelto questa somma perché è la media esatta dei ‘paracadute d’oro’ offerti ai grandi manager in questi ultimi sei anni. Chi conduce l’indagine ha l’ossessione della coerenza perché abbiamo bisogno di avere del reale un’altra immagine; non ci piace il reale che stona. Occorre un movente A che conduce a un’azione B, ecc. Da qui nascono gli errori giudiziari: il reale non è coerente.

 

Nel romanzo è presente il tema del volontariato che ha sostituito l’azione dello Stato. Una critica?

Non c’è ironia verso le ONG in quanto tali, ma come vengono utilizzate dai ragazzi privilegiati per arricchire il loro curriculum vitae. “Una volta per le vacanze i figli si mandavano dalla nonna, si spedivano in colonia o, se non avevano studiato abbastanza, li si richiudeva in qualche lugubre collegio estivo. Da una quindicina d’anni, invece, per le vacanze estive ci si butta sul volontariato, la ONG di turno… Non dire a nessuno di loro che oggigiorno la puntatina preso la ONG redentrice è quel che tira di più sul curriculum per entrare nelle grandi università e che persino la regina di Inghilterra ci spedisce i nipoti perché si facciano una botta di vita vera”. Ma la realtà è più complessa (io stesso aiuto SOS Méditerranée) e il romanzo è il mezzo che ci è dato per rendere conto della complessità del reale. 

 

Che cosa la preoccupa del futuro?

La coesione europea. Se a partire dagli anni Ottanta avessimo organizzato per i nostri bambini scambi culturali e viaggi studio per conoscere tutte le culture europee, gli adulti di oggi sarebbero poliglotti, apprezzerebbero cibi francesi, italiani, spagnoli, portoghesi e perfino inglesi o tedeschi! Avrebbero visto film italiani, tedeschi, francesi, ecc. Tutti ci sentiremmo europei. Il mio sogno, ed è un progetto che mi impegnerà nei prossimi mesi, è quello di una grande università europea.

 
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