Sport
Leggere la società attraverso lo sport
A tu per tu con Mauro Grimaldi, che ci presenta il suo ultimo libro "Storia d'Italia, del calcio e della Nazionale" e ci aiuta a interpretare anche l'attualità
Elio Sanchez | 4 novembre 2020

"Storia d'Italia, del calcio e della Nazionale. Uomini, fatti, aneddoti": da domani in libreria il nuovo libro di Mauro Grimaldi edito da DFG Lab: un viaggio ricco di particolari inediti e di archivio nella storia della nazionale italiana di calcio letta anche attraverso i principali eventi storici che hanno interessato il nostro Paese, dall'Unità d'Italia fino alla prima metà del XX secolo. Il libro che vi consigliamo è una straordinaria occasione per leggere la nascita e dello sviluppo del calcio come fenomeno sociale e sportivo. Il contenuto è la summa di oltre venti anni di ricerche effettuato dall'autore Mauro Grimaldi, che è uno dei massimi dirigenti sportivi del calcio italiano. Abbiamo avuto l'onore di dialogare con lui alla vigilia della pubblicazione del libro.

Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale. Domani uscirà il suo ultimo libro, che racconta la storia calcistica italiana collegandola ad alcuni eventi storici importanti (Strage di Superga, Fascismo e tanti altri). Da dove nasce questa idea? Che rapporto c’è nel nostro Paese tra calcio e società?

Il calcio appartiene alla nostra cultura e alla nostra storia più di ogni altra cosa, non solo per i risvolti sportivi ed economici ma soprattutto per l’impatto che ha sempre avuto nella nostra società sin dalla sua nascita. Non dimentichiamo che il football moderno arriva in Italia all’indomani dell’Unità d’Italia sulla scia della Rivoluzione industriale. Anzi in quella parte di quell’Italia – il Nord ovest – più recettiva ai nuovi influssi anglosassoni e sicuramente l’unico territorio in grado di confrontarsi con il nuovo modello sociale che la Rivoluzione sta imponendo. Non dimentichiamo che a Genova, oltre alla presenza di uno dei più grandi porti commerciali del Mediterraneo, è attiva una delle più importanti Borse che favorirà le transazioni economiche e gli scambi commerciali con gli inglesi. Il Paese, quindi, è pronto a recepire tutte le novità e il calcio, sport moderno e “scapestrato”, è una di queste. La sua introduzione nella società italiana arriva a seguito delle numerose comunità inglesi chiamate per colmare il Gap tecnologico. Ma attenzione perché la sua diffusione si deve a quella che all’epoca era una delle maggiori organizzazioni sportive presenti sul territorio, cioè la Federazione Ginnastica. Perché ha attecchito quasi subito. Lo sport, anzi la pratica sportiva, era riservato a pochi ceti, per lo più elitari. La scherma, l’ippica, la stessa ginnastica facevano parte del bagaglio dell’aristocrazia e ricca borghesia. Il calcio no, anche se all’inizio ha tratti aristocratici e alto borghesi – in realtà attecchisci subito tra la popolazione perché si differenzia da tutto il resto. Tra l’altro serve poco per giocare: un campo all’aperto e un pallone, che arriveranno dall’Inghilterra. Insomma, per farla breve, l’idea di raccontare la nostra storia attraverso un pallone e i suoi eroi, mi è sembrata interessante, soprattutto se rivolta alle generazioni più giovane. Un grande romanzo che va parallelamente alla nostra storia e continua a farlo da oltre un secolo.

 Cambiamenti sociali e cambiamenti sportivi: in che direzione si sta “evolvendo” la società? Oggi assistiamo a uno sport totalmente diverso da quello di un tempo, dove ad esempio è difficile individuare bandiere e attaccamento alla maglia. È così anche a livello extra-sportivo?

 Non è solo in calcio ad essere cambiato ma il nostro modo di vivere. I modelli sociali che si sono susseguiti in questi anni hanno subito una forte accelerazione negli ultimi trent’anni ed il calcio ne ha mutuato, come ha sempre fatto, pregi e difetti. Pensare oggi ad un calcio romantico, eroico come quello dei pionieri è pura utopia, Oggi il calcio è industria, economia, comunicazione, social, tecnologia. Sono cambiati i parametri, le squadre si sono globalizzate. Non solo non esiste più un calciatore bandiera – salvo rare eccezioni come, ad esempio, Francesco Totti e pochi altri – ma non esiste più neanche un imprinting nazionale. Basta scorrere le formazioni delle nostre squadre maggiori per rendersi conto di come l’italianità sia estremamente limitata. Ma questo fa parte dell’evoluzione fisiologica della nostra società, come successe a metà del XIX secolo con la Rivoluzione industriale, solo che adesso il mondo va molto più veloce. È vero che una sorta di situazione esterofila si è avuta negli anni Trenta con gli oriundi (parliamo però di ragazzi di prima generazione con genitori italiani emigrati da poco) e poi a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta che, in ogni caso, hanno portato degli effetti collaterali disastrosi, ma erano situazioni storiche diverse. Nell’era contemporanea, dobbiamo fare riferimento a due passaggi fondamentali che hanno cambiato il volto al nostro calcio: la Legge sul professionismo sportivo nel 1981 e la vicenda Bosman nel 1995 che ha sconvolto completamente tutto. Ma questo sarà oggetto di approfondimento nel prossimo volume.

 Il libro viene pubblicato in un periodo storico veramente difficile per tutto il Paese; per quanto riguarda lo sport però è quasi esclusivamente l’ambito dilettantistico ad essere penalizzato. Lei è stato uno dei maggiori esponenti del calcio dilettantistico italiano, cosa ne pensa delle decisioni prese sullo sport?

Siamo di fronte ad una situazione imprevedibile, complessa, difficile da gestire e che nessuno di noi ha mai affrontato. Ci sono di mezzo situazioni delicate, la tutela delle persone e da quello che abbiamo visto, almeno al momento, l’unico strumento in grado di dare qualche risultato è il distanziamento. Il mondo dei dilettanti, per la sua vastità, per le sue implicazioni nel quotidiano, per la fascia di utenza trasversale che coinvolge a livello di singola società non è in grado di attivare tutti quegli strumenti di prevenzione necessari e anche questi non sarebbero sufficienti come abbiamo visto nel mondo professionistico. L’unico campionato dei Dilettanti in attività, la serie D, nonostante sia più strutturato dal punto di vista organizzativo, ha visto più della metà delle partite dell’ultima giornata rinviate. Questo vuole dire che bisogna prendere delle decisioni che prima salvaguardino la vita umana e poi lo sport. Per cui non userei in termine penalizzazione ma parlerei di attenzione verso questo mondo, di prevenzione necessaria, di una pausa di riflessione affinché tutto possa ricominciare nella massima sicurezza. In un mondo in cui criticare è facile, mancano, a fronte di queste critiche, delle soluzioni. Adesso la priorità di tutti è tenere in piedi il sistema Italia e tutti gli sforzi e i sacrifici debbono essere rivolti a questo obiettivo.

 Ritiene che anche da questo punto di vista ci sia un parallelo tra società e sport, dato che sono sempre le categorie “minori” ad essere penalizzate e lasciate indietro?

Sicuramente lo sport dilettantistico è quello che più di ogni altro interagisce con il quotidiano. È lo sport di tutti e per tutti. È fatto di gente comune non di supereroi, che la mattina si devono svegliare alle sei per andare a lavorare. Non è il mondo dorato dei professionisti ma quello degli impiegati, degli operai, degli studenti che vivono questa realtà in prima linea e non sono protetti da una bolla di sicurezza. Loro sono penalizzati non in quanto atleti ma in quanto cittadini che subiscono sulla propria pelle questa situazione e che già fanno fatica a tutelarsi nei posti di lavoro, a scuola e persino a casa. Non esiste guadagno anzi spesso è remissione, ma è questa la bellezza dello sport dei dilettanti fatto di sacrificio, di passione allo stato puro, di evasione dalla routine, di piccole conquiste ma queste persone hanno lo stesso diritto alla vita di tutti e se non sussistono le condizioni di sicurezza non possiamo permettere che si espongano a conseguenze estreme. In questo momento è così- Bisogna essere più costruttivi, guardare il bicchiere mezzo pieno con la certezza che se tutti faranno la propria parte presto si riconcerà come prima.

 Perché leggere il suo libro? Ci può anticipare qualche capitolo o episodio saliente?

Perché leggere il mio libro. Bella domanda. Perché il pallone diventa la voce narrante di una storia, la nostra, che non possiamo non conoscere. Quella stessa storia che negli anni ha costruito la società in cui viviamo, dove i vari passaggi hanno determinato, nel bene e nel male, comportamenti epocali. Nella vita bisogna essere curiosi, lo dico soprattutto alle giovani generazioni che devono superare quella pigrizia verso la lettura e verso la cultura che le affligge. Bisogna fare un salto di qualità perché il futuro va ricostruito e se un pallone, un semplice pallone, può essere in grado di far capire questi passaggi, allora ben venga. Per questo motivo per stimolare la curiosità, non anticipo niente ma sono sicuro che una volta aperto il libro, il lettore sarà rapito in questa grande favola che è il calcio italiano.

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