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IL REPORTAGE
A Monza si va vestiti di rosso
Assistere al Gran Premio d’Italia è un’esperienza elettrizzante, in cui i limiti esistono solo per essere superati. Perché se dici Formula 1 dici velocità, ma se dici Monza dici storia
Giulia Toninelli | 3 ottobre 2016

A Monza si va vestiti di rosso. Un cappellino, una maglietta, va bene anche lo smalto sulle unghie.
Ci si prepara velocemente in una domenica mattina che per molti non ha nulla di speciale, si chiude tutto in uno zaino e si parte, emozionati più che mai.
Quest’anno la domenica più bella dell’anno è stata una caldissima giornata d’inizio settembre, con un sole che picchiava sui cruscotti delle auto alle otto di mattina.
A quell’ora il casello di uscita dell’autostrada per Monza era già piuttosto affollato, e sbirciando dal finestrino si potevano scorgere le prime magliette rosse.
Ogni persona, ogni tifoso con una bandiera in mano si stava avvicinando a quello che la storia ricorda come “il tempio della velocità” e che anno dopo anno trasforma, per qualche giorno, la tranquilla città di Monza in uno spettacolo tutto asfalto, motori e follia.
Il parco dell’autodromo sembra non finire mai, contornato da tantissimi stand del merchandising, ma il popolo rosso Ferrari cammina a passo spedito cantando e ridendo: c’è chi si è costruito un’automobile di cartapesta come cappello, chi porta bandiere alte almeno tre metri, chi apre i primi fumogeni colorati.
Come ad ogni circuito in giro per il mondo quel fiume di persone si disperde alle numerose entrate e sceglie il punto migliore da cui godersi la corsa: il rettilineo, con la sua variante, la Parabolica, Ascari, Lesmo, Biassono, il Serraglio.
Ma a Monza poco importa il dove, perché ovunque tu sia se dici Monza, dici casa, dici storia, dici incoscienza e dici passione.
Già dalla mattina si corre: prima la GP3, poi la GP2, poi le Porsche e infine entrano in campo i campioni, i piloti di Formula 1, fanno un giro di saluti durante la parata e ritornano in fretta ai loro box, per cercare la concentrazione di chi sta per risalire su una macchina tanto pericolosa quanto bella.
La gente li saluta, urla i loro nomi, scalpita cercandoli tra la folla.
Intanto sui megaschermi passano le immagini in bianco e nero del passato di Monza che si mischiano disordinate tra loro per ricordare che la storia è passata di qui, su questo asfalto, con Senna, Villeneuve, Schumacher.
Intanto il mare rosso Ferrari raggiunge ogni angolo dell’autodromo e le macchine scendono in pista, una dopo l’altra si posizionano sulla griglia di partenza e fanno rombare i motori al ritmo dei cinque semafori che si accendono.
La Ferrari non ha avuto una grande annata e la supremazia delle Mercedes si vede dalla posizione di partenza: le due schegge argento occupano infatti la prima fila e i due ragazzi in rosso, idoli della folla, sono appena dietro di loro.
Ma la partenza può cambiare tutto, la partenza è tutto.
Un attimo che dura in eterno, il tempio della velocità perde la voce di fronte a quel secondo che può voler dire vittoria come può voler dire disfatta.
Lewis Hamilton, il campione, non guarda nessuno, è davanti a tutti come sempre.
Nico Rosberg, il suo compagno, invece guarda avanti con lo sguardo del predatore che per un attimo sorride amaramente, ma poi si ricorda di essere anche lui un campione e ricomincia ad essere leone.
I semafori si spengono e il popolo rosso torna a urlare più forte che mai vedendo i suoi ragazzi in rosso che si fanno largo e superano Hamilton.
“Vai Seb” gridano a Sebastian Vettel, subito secondo, e non bisogna essere geni per capire che qui servirebbe lui per portare a casa un podio. Quel bambino diventato uomo a furia di vincere campionati mondiali, quell’uomo rimasto bambino grazie al suo sorriso gentile.
E scorre così, tra le speranze della folla, il Gran Premio d’Italia, mentre i fumogeni rossi bruciano gli occhi ma riempiono il cuore e il rombo delle Formula 1 spezza il silenzio.
Quando manca qualche giro dalla fine il più è deciso: Nico è tornato leone davanti al compagno Hamilton che grazie alle strategie della scuderia si riprende il secondo posto e Vettel riesce a riportare la sua Ferrari sul podio dopo le ultime tre disastrose gare.
È quindi arrivato il momento di abbandonare le tribune bollenti e iniziare a correre.
Da Ascari, da Lesmo, da qualsiasi parte del circuito il fiume dei migliaia di tifosi riprende il suo pellegrinaggio e stavolta lo fa con la foga di arrivare sotto al podio più bello del mondo.
Qui sventolano le enormi bandiere e i tifosi perdono definitivamente la voce quando sul terzo gradino sale un ragazzo del colore giusto, del colore del cuore di tutti i presenti. Sui due gradini più alti gli avversari in grigio non possono comunque fare a meno di emozionarsi e ammettono: “Siete i migliori al mondo, uno spettacolo così c’è solo in Italia!”.
Vettel da quel podio sembra non voler scendere più: la sua prima vittoria a diciannove anni è stata proprio lì e adesso che è vestito del colore giusto non si vuole perdere il momento, mentre i coriandoli volano in cielo e lo dipingono in verde bianco e rosso.
Nella zona box spunta uno dei visi più noti e la gente va in delirio: “Niki, Niki”, urlano tutti di fronte a quell’idolo dalla faccia segnata dal fuoco della sua passione e Niki Lauda accenna un raro sorriso, lui che a Monza, a bordo della sua Ferrari, ha ricominciato a correre dopo il suo grave incidente.
Tutti i box chiudono, i piloti se ne vanno, il silenzio torna a occupare le curve di quel circuito che fino a poco prima è stato tutto, tranne che silenzio.
Lo spettacolo è concluso, ma in molti rimangono a camminare lungo il rettilineo sapendo che dovranno attendere un altro anno per rivivere tutto da capo, per vestirsi di rosso, per trattenere il fiato, per annusare l’odore acuto delle gomme calde sui cordoli.

 

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