Interviste
Così i giovani si rivoltano contro il Paese che li ha cresciuti
Intervista a Rachid Benzine, autore di "Nour, pourquoi n’ai-je rien vu venir". In scena a Cesena dal 28 al 31 marzo
Redazione | 1 marzo 2019

Perché ha scritto Nour, pourquoi n’ai-je rien vu venir? e come si è sentito mentre lo scriveva, cercando una risposta al perché ci sono persone che uccidono nel nome del tuo Dio?

Ho scritto questo testo subito dopo gli attentati del Bataclan nel 2015 a Parigi; ho provato a rispondere a delle domande che mi ronzavano in testa già da anni: perché questi giovani, cresciuti in Paesi europei, con la mia stessa cultura, finiscono per armarsi contro il Paese che li ha cresciuti? Per me è davvero impossibile da comprendere.

 

Guardando al passato, quale pensa sia il miglior consiglio da dare ai giovani di qualsiasi latitudine?

Penso sia fondamentale porsi delle domande sul futuro e contemporaneamente riuscire a inserirsi in una tradizione, sia essa religiosa, culturale o filosofica. Avere un background infatti è essenziale perché per poter migliorare se stessi è fondamentale mettere in discussione proprio tale tradizione, in moda da riuscire a dire qualcosa di completamente nuovo. È importante credere fortemente in qualcosa, ma bisogna anche saperlo criticare, saperlo adattare al mondo che ci circonda per poter progredire.

 

Sempre più persone sono atee, giovani e meno giovani. Lei ha scritto che quando parliamo di Dio parliamo di noi stessi. Siamo troppo spaventati all’idea di guardarci dentro e parlare di noi stessi per credere in qualcosa o qualcuno?

Cerchiamo spesso di approcciare questo nuovo mondo con strumenti che sono obsoleti perché provenienti del passato: come possiamo così facendo comprendere il mondo in cui viviamo? Per poter progredire bisogna adattare le proprie tradizioni, renderle attuali senza perdersi di vista. Per questo il padre di Nour ritiene che il contrario della conoscenza non sia l’ignoranza, bensì l’incertezza: “se si ha qualche insicurezza sull’altro o su se stessi non c’è possibilità di migliorarsi”.

 

Come si è sentito vedendo l’adattamento teatrale del suo libro? 

Sicuramente è stata una bellissima emozione quando ho visto quel testo prendere vita a teatro: l’ho capito in un’altra ottica, l’ho “sentito” in un’altra maniera. Le persone che erano con me in sala non avevano mai letto il libro eppure si identificavano, a tratti nel padre, a tratti nella figlia. Parliamo di una tematica universale, al di là della jihad, al di là della religione, sono  problematiche intergenerazionali. È una questione di amore, è la questione della trasmissione di valori e conoscenze. Quando si hanno dei figli ci si impegna a trasmettere loro i valori che si credono fondamentali, ma capita a volte che quello che si cerca di far arrivare non arrivi. Così quei ragazzi alla fine credono in qualcosa che per noi è completamente sbagliato. 

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