Attualità
Cinque anni dal rapimento di Giulio Regeni: quando la verità uccide
Cinque anni fa, il 25 gennaio 2016, veniva rapito in Egitto Giulio Regeni. A distanza di anni, la famiglia attende ancora giustizia
Gaia Canestri | 25 gennaio 2021

"La strada per la democrazia appare ancora lunga e accidentata, ma è unicamente da questi fermenti sociali che può scaturire la speranza per un Egitto realmente democratico. E gli sviluppi di queste iniziative meritano di essere seguiti con attenzione e vicinanza, anche da questa parte del Mediterraneo", queste le parole che Giulio scrive in uno dei suoi articoli in merito alle rivolte cittadine e alla democrazia egiziana, parole che oggi, in occasione del quinto anniversario del rapimento, risvegliano una sete di giustizia che ancora non è stata fatta.

Gli studi e il trasferimento in Egitto

Giulio era un ragazzo friulano classe 1988 che ancora minorenne si era trasferito per motivi di studio prima in America, e poi ad Oxford e Cambridge, dove aveva intrapreso un dottorato di ricerca che lo portò a trasferirsi in Egitto per svolgere un'indagine sui sindacati indipendenti egiziani. Qui, Giulio frequentava l'Università Americana del Cairo e scriveva articoli sotto lo pseudonimo di Antonio Drius.

L'omicidio

Il 25 gennaio 2016 venticinquemila protestanti scendono in piazza per chiedere riforme politiche e sociali, quella stessa sera Giulio Regeni scompare mentre si recava in piazza Tahir, dal quel momento nonostante i numerosi hastag e le ricerche lanciate dai suoi amici e dalla sua famiglia nessuno ha più sue notizie. Nove giorni dopo, il 3 febbraio 2016, il corpo di Giulio viene ritrovato mutilato e senza vita lungo una strada alla periferia del Cairo.

Le indagini

Numerosi i moventi attribuiti a questo omicidio, dapprima le autorità del posto sostennero che si fosse trattato di un semplice incidente stradale, poi di un omicidio per motivi personali legati a una presunta relazione omosessuale o allo spaccio di stupefacenti e altre ipotesi che nel tempo si sono sbiadite, lasciando al loro posto solamente silenzio. Il silenzio delle autorità egiziane, il silenzio imposto al legale egiziano che seguiva il caso per conto della famiglia Regeni, Ibrahim Metwaly, che è stato incarcerato in Egitto con l'accusa di voler sovvertire il governo di al-Sisi; il silenzio al quale è stato costretto il consulente che seguiva la famiglia al Cairo, Ahmed Abdullah, presidente dell'organizzazione non governativa "Commissione egiziana per i diritti e le libertà", arrestato nell'aprile del 2016 con l'accusa di sovversione e terrorismo. L'inizio delle indagini segna anche l'inizio delle incomprensioni e dell'incomunicabilità tra due inchieste separate, da una parte la Procura del Cairo e dall'altra la Procura di Roma, e  l'inizio dei depistaggi come i video, cancellati, delle telecamere installate nella stazione metro dove Giulio è scomparso.

Chiusura delle indagini preliminari 

A cinque anni dalla scomparsa di Giulio Regeni la Procura di Roma ha chiuso le indagini preliminari, rinviando a giudizio quattro ufficiali del servizio segreto interno egiziano. I reati contestati comprendono il sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e l'omicidio. I quattro ufficiali indagati risultano irreperibili perché la magistratura del Cairo non ne ha fornito gli indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di assistere agli interrogatori degli indagati stessi rendendo di fatto irreperibili gli indagati.

In Italia sono numerose le organizzazioni e le associazioni che nel corso degli anni si sono battute per dare giustizia a Giulio Regeni, per fare luce dove le autorità non sono riuscite ad arrivare, per realizzare il desiderio di Giulio di rendere l'Egitto un paese democratico, per non lasciare che questo omicidio venga ricordato come uno dei tanti casi non risolti o peggio, che venga dimenticato.

 

 

 

 

 

 

 

 

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