Tra vendetta e perdono
Il doppio volto della verità
Dall’8 al 13 aprile allo Stabile di Genova “Oscura immensità”: sullo stesso palcoscenico si scontrano rabbia e frustrazione, bene e male
Valeria Firriolo | 15 April 2014
Oscura immensità è il titolo di un’avvolgente racconto, pièce teatrale e romanzo, che prende vita dall’autore Massimo Carlotto. Lo spettacolo arriva ora a Genova con la notevole regia di Alessandro Gassmann e due attori del calibro di Giulio Scarpati e Claudio Casadio. Uno è Silvano Contin, un uomo che ha visto morire sua moglie e suo figlio in una rapina, l’altro è Raffaello Beggiato, il rapinatore che, mentre sconta la sua pena in carcere, scopre di avere un tumore incurabile e per questo decide di rivolgersi al marito e padre delle vittime per ottenere il perdono e poter così finire la sua vita da uomo libero.
Giulio Scarpati parla del suo personaggio come “un carcerato doloroso e allo stesso tempo rabbioso, diffidente, che in certi casi si dimostrerà anche feroce”, mentre Claudio Casadio vede il suo “rissoso, estemporaneo, malinconico e allo stesso tempo autoironico, ma sicuramente disperato”.
Si tratta, quindi, di due personaggi molto diversi: «Ognuno – dice Casadio – ha una visione della vita diversa: uno più razionale, l’altro totalmente irrazionale. Da una parte c’è una persona normale che si perderà nel dolore e nella rabbia e dall’altra un balordo, che vive ai margini della società cercando nel contempo di riscattarsi. L’unica cosa che li rende simili è la situazione di solitudine in cui si sono trovati». Il testo è stato concepito sottoforma di due monologhi che racchiudono le loro riflessioni ed emozioni: due binari paralleli, che trovano ad un tratto un punto di convergenza. Continua Casadio: «La disperazione li unisce, anche se è generata da due motivi completamente diversi: Contin soffre per la perdita della famiglia e la mancata giustizia ottenuta, in quanto uno dei due rapinatori e assassini è ancora a piede libero. Beggiato si pente, ma è anche arrabbiato perché vorrebbe avere la possibilità di morire da uomo libero. E quindi chiede il perdono».
In un conflitto così forte e confuso, in cui il confine tra bene e male non è più ben definito, i ruoli di carnefice e vittima tendono a invertirsi. E su questo complesso sfondo di emozioni emerge la mediocrità dell’uomo perché, come afferma Scarpati, «entrambi non riescono ad andare al di là del proprio dolore». Esiste allora una ricetta per mantenere la lucidità? Risponde Casadio: «È sperare che, quando ci perdiamo, riusciamo in qualche modo a riaprire gli occhi e a renderci conto di quello che è accaduto. Subito dopo si dovrebbe cercare, per quel che si può, di rimediare». Nonostante la tensione così soffocante data da sentimenti controversi, lo spettacolo si sviluppa in modo spontaneo e naturale e i personaggi sono liberi di esprimersi con tranquillità; lo spettatore ha la possibilità di ascoltare contemporaneamente i due punti di vista, anche quando la scena non è sempre così chiara e limpida. Alla fine il pubblico potrebbe non avere la sua risposta, ma sicuramente conoscerà la verità. «È come gettare una secchiata di realtà in faccia allo spettatore – spiega Scarpati – perché la realtà non è fatta sempre di perdono e del “vissero tutti felici e contenti”. Noi mettiamo il pubblico davanti ad una realtà complessa, che va compresa per quello che è. Non siamo qui per dire: questi sono i buoni, questi i cattivi, è meglio agire così o così». Nessuna soluzione consolatoria dunque, solo uno stimolo alla riflessione. Ma è proprio riflettendo che sorge spontaneo chiedersi se l’uomo sia veramente destinato ad una mediocrità esistenziale, ad un conflitto perenne di emozione e ragione, di bene e male. Conclude Casadio: «Oggi forse si tende ad essere un po’ mediocri. C’è bisogno invece di forza e di ideali. Solo se ci diamo da fare si uscirà dalla mediocrità. E soprattutto voi giovani siete chiamati a farlo, trovando di nuovo l’energia, anche per arrabbiarvi, però soprattutto per cambiare le cose e uscire da questo torpore, per far sì che sia un mondo pieno di sogni e di fantasie realizzati».
Giulio Scarpati parla del suo personaggio come “un carcerato doloroso e allo stesso tempo rabbioso, diffidente, che in certi casi si dimostrerà anche feroce”, mentre Claudio Casadio vede il suo “rissoso, estemporaneo, malinconico e allo stesso tempo autoironico, ma sicuramente disperato”.
Si tratta, quindi, di due personaggi molto diversi: «Ognuno – dice Casadio – ha una visione della vita diversa: uno più razionale, l’altro totalmente irrazionale. Da una parte c’è una persona normale che si perderà nel dolore e nella rabbia e dall’altra un balordo, che vive ai margini della società cercando nel contempo di riscattarsi. L’unica cosa che li rende simili è la situazione di solitudine in cui si sono trovati». Il testo è stato concepito sottoforma di due monologhi che racchiudono le loro riflessioni ed emozioni: due binari paralleli, che trovano ad un tratto un punto di convergenza. Continua Casadio: «La disperazione li unisce, anche se è generata da due motivi completamente diversi: Contin soffre per la perdita della famiglia e la mancata giustizia ottenuta, in quanto uno dei due rapinatori e assassini è ancora a piede libero. Beggiato si pente, ma è anche arrabbiato perché vorrebbe avere la possibilità di morire da uomo libero. E quindi chiede il perdono».
In un conflitto così forte e confuso, in cui il confine tra bene e male non è più ben definito, i ruoli di carnefice e vittima tendono a invertirsi. E su questo complesso sfondo di emozioni emerge la mediocrità dell’uomo perché, come afferma Scarpati, «entrambi non riescono ad andare al di là del proprio dolore». Esiste allora una ricetta per mantenere la lucidità? Risponde Casadio: «È sperare che, quando ci perdiamo, riusciamo in qualche modo a riaprire gli occhi e a renderci conto di quello che è accaduto. Subito dopo si dovrebbe cercare, per quel che si può, di rimediare». Nonostante la tensione così soffocante data da sentimenti controversi, lo spettacolo si sviluppa in modo spontaneo e naturale e i personaggi sono liberi di esprimersi con tranquillità; lo spettatore ha la possibilità di ascoltare contemporaneamente i due punti di vista, anche quando la scena non è sempre così chiara e limpida. Alla fine il pubblico potrebbe non avere la sua risposta, ma sicuramente conoscerà la verità. «È come gettare una secchiata di realtà in faccia allo spettatore – spiega Scarpati – perché la realtà non è fatta sempre di perdono e del “vissero tutti felici e contenti”. Noi mettiamo il pubblico davanti ad una realtà complessa, che va compresa per quello che è. Non siamo qui per dire: questi sono i buoni, questi i cattivi, è meglio agire così o così». Nessuna soluzione consolatoria dunque, solo uno stimolo alla riflessione. Ma è proprio riflettendo che sorge spontaneo chiedersi se l’uomo sia veramente destinato ad una mediocrità esistenziale, ad un conflitto perenne di emozione e ragione, di bene e male. Conclude Casadio: «Oggi forse si tende ad essere un po’ mediocri. C’è bisogno invece di forza e di ideali. Solo se ci diamo da fare si uscirà dalla mediocrità. E soprattutto voi giovani siete chiamati a farlo, trovando di nuovo l’energia, anche per arrabbiarvi, però soprattutto per cambiare le cose e uscire da questo torpore, per far sì che sia un mondo pieno di sogni e di fantasie realizzati».
Tag:
giulio scarpati, claudio casadio, teatro, bene, male, fratelli, scontro, oscura immensità, Teatro Stabile di Genova
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