Attualità
Lavorare meglio per vivere meglio
La parità di genere passa anche dalle politiche aziendali. E l’Unione Europea può giocare un ruolo fondamentale
Luca Bianchi | 3 marzo 2023

In occasione del mese della donna, come ogni anno abbiamo deciso di dedicare uno speciale alla questione di genere.  Quando si parla di disparità, uno dei dati più allarmanti è quello relativo alle donne che decidono di lasciare il lavoro  per la maternità. Secondo il 7° Rapporto di Save the Children Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022, il 42,6% delle  donne tra i 25 e i 54 anni con figli, risulta non occupata, con un divario rispetto ai compagni di più di 30 punti percentuali. Laddove il lavoro sia stato conservato, molte volte si tratta di un contratto part-time (per il 39,2% delle donne con  2 o più figli minorenni) e solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10 tra quelli attivati nel primo semestre  2021, è a favore delle donne. Nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimis sioni, spesso per motivi familiari anche perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi, come gli  asili nido (nell’anno educativo 2019-2020 solo il 14,7% del totale dei bambini 0-2 anni ha avuto accesso al servizio finan ziato dai Comuni). Per raggiungere l’uguaglianza è innanzitutto necessario mettere donne e uomini sullo stesso livello  di partenza. In questo senso, una delle cause principali per il mantenimento e la qualità dell’occupazione femminile  consiste nella difficoltà a conciliare i tempi di vita e di lavoro e poi nei costi derivanti dall’accesso ai servizi di educazione  e cura. Ma cosa possono fare le aziende per evitare questo fenomeno? E cosa fa l’Unione Europea? Lo abbiamo chiesto  a Valentino Santoni, ricercatore di Percorsi di secondo welfare.

 

Approfondiamo il concetto di welfare aziendale. Di cosa parliamo e che evoluzione ha avuto negli ultimi anni con la pandemia?

Il welfare aziendale è l’insieme di servizi e benefit che vengono forniti dal datore di lavoro ai propri dipendenti andando a integrare la normale retribuzione. Può avere varie forme: prestazioni dal carattere sociale (asilo nido aziendale, agevolazioni per familiari con disabili o genitori anziani, previdenza complementare, sanità integrativa, convenzioni con strutture private) ma anche iniziative per la mobilità, il tempo libero (spese per i viaggi, abbonamenti in palestra, attività ricreative) e i cosiddetti fringe benefit come i buoni acquisto. In Italia la normativa fiscale è decisiva per il welfare aziendale: le aziende hanno delle spese ridotte sui benefit rispetto alla tradizionale retribuzione monetaria, che come si sa ha un forte cuneo fiscale. Ci sono poi attività più generali che non rientrano nel ventaglio normativo, come lo smart working, il lavoro agile, la flessibilità in entrata e uscita, il telelavoro o l’introduzione di un welfare manager che guida i dipendenti con consigli professionali per sfruttare al meglio opportunità e servizi.

 

Un caso ben riuscito è quello del progetto WeCa Re in Piemonte, realizzato grazie ai fondi della  politica di coesione dell’Unione Europea.

Innanzitutto è bene fare chiarezza su come e chi  decide di spendere i fondi che arrivano dall’UE:  ogni Regione ha le sue disponibilità e decide  come gestirle, ad esempio investendo sul wel fare aziendale. Un esempio di lunga data arriva  dalla Regione Piemonte con il progetto WeCa Re: si tratta di una strategia regionale per l’in novazione sociale che riguarda anche il welfare  aziendale. L’obiettivo è quello di promuovere sul  territorio regionale la progettazione e l’attivazio ne di interventi di welfare aziendale con particolare riguardo verso iniziative inter-aziendali e di  apertura verso il territorio promuovendo le op portunità di conciliazione tra vita personale e la vorativa, l’occupazione femminile e il benessere  di lavoratori e lavoratrici. WeCaRe rappresenta la  declinazione locale della Strategia Europa 2020,  che invita gli Stati membri a promuovere sui pro pri territori una crescita intelligente, sostenibi le e inclusiva. Attraverso la programmazione di  fondi europei – Fondo Sociale Europeo e Fondo  Europeo di Sviluppo Regionale, per un totale di  20 milioni di euro – la misura si propone di inter pretare la sfida della coesione sociale come una  grande occasione di sviluppo territoriale. Da un  lato si è quindi deciso di investire sulle realtà ter ritoriali per fare cultura, coinvolgendo imprese,  professionisti, sindacati con il fine di stimolare il  dibattito; dall’altro lato si è lavorato sulla vera e  propria realizzazione di azioni di welfare azien dale, soprattutto in rete, con l’obiettivo di farli  durare nel tempo anche per coinvolgere micro e  piccole imprese. 

 

Parlando in ottica futura, quali sono i margini  di miglioramento ed espansione per il progetto  WeCaRe? Vedremo altri progetti simili?

Nel 2022 è stato approvato un altro bando da un  milione di euro sempre in Piemonte per la rea lizzazione di un intervento di “Attivazione di  piani di welfare aziendale e territoriale nel tes suto imprenditoriale piemontese”, che di fatto  dà continuità a quanto iniziato con WeCaRe. Nel  bando si legge che “L'intervento si rivolge prioritariamente alle Piccole e Medie imprese, anche  incoraggiando la collaborazione inter-aziendale,  ed è finalizzata all'attivazione e implementa zione, soprattutto condivisa, di servizi di wel fare aziendale”. Per quanto riguarda il 2023, c’è  l’intenzione di finanziare un nuovo progetto sul  welfare aziendale grazie ai fondi di coesione europea. So che sono previste 3 linee di intervento:  una rivolta agli enti aggregatori (soggetti del ter ritorio come le associazioni datoriali, i sindacati  e le organizzazioni del Terzo Settore), una volta  a promuovere iniziative in rete, e una terza, che  è la vera novità, per la conciliazione vita-lavoro  per i dipendenti della sanità.  

 

Per la realizzazione di questi progetti sono decisivi i finanziamenti dell’UE? 

Sono decisivi quando le Regioni decidono di stan ziarli: si tratta di fondi che arrivano dall’Unione  Europea alle Regioni, che a loro volta decidono  a quale tipo di innovazioni rivolgerle. In alcu ni casi, come per la scorsa giunta regionale pie montese, si decide di investire molto sul welfare  aziendale; in altri casi è più difficile vedere realiz zati progetti così importanti. Di solito le Regioni  decidono di destinare a questa tematica risorse  molto basse. L’Europa manda risorse rilevanti per  l’ambito sociale ma non è direttamente lei a de cidere in che direzione di spesa devono andare a  livello regionale. 

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