Attualità
Gillo Dorfles: l'ultimo valzer di un genio curioso
Omaggio a un grande del Novecento
Roberto Bertoni | 3 marzo 2018

Avevamo imparato a considerarlo eterno, credevamo che davvero l'elisir di lunga vita che doveva aver bevuto in gioventù lo avrebbe salvaguardato dalla morte e conservato su questa Terra per sempre. E invece una mattina di marzo, a centosette anni, in attesa di compierne centotto in aprile, Gillo Dorfles ci ha detto addio, dopo aver molto vissuto, molto cercato, molto dipinto, molto inseguito conoscenza e passioni civili, molto scritto ed altrettanto letto ed ascoltato. Il triestino Gillo Dorfles, classe 1910, ultimo erede di una tradizione asburgica ormai in disarmo, simbolo vivente della Mitteleuropa e della necessità di costruire davvero un'Unione politica e federale per evitare di ripetere le carneficine del Novecento, era uno di quei personaggi che poteva dire "io c'ero" pressoché in ogni circostanza. 

C'era ai tempi di Saba e di Svevo, c'era durante la Prima guerra mondiale, c'era, e ben se lo ricordava, durante il fascismo, di cui fu sempre, fin dall'inizio, uno strenuo oppositore, c'era durante la Seconda guerra mondiale, ha visto l'italia rinascere e volare, ha condiviso le speranze di piu popoli e costruito, attraverso le proprie opere, la propria analisi critica e la propria attività di intellettuale poliedrico, un immaginario di fratellanza universale dal quale tutti abbiamo attinto. 

Amico dei grandi e grande a sua volta, coraggioso nello sperimentare sempre, indomito, profondo senza mai diventare serioso, attivo e partecipe sino alla fine, ha ballato il valzer della vita senza mai privarsi di alcuna soddisfazione né intristirsi per la vecchiaia che cominciava a renderlo meno mobile, meno protagonista, più incerto sulle gambe e forse persino un po' stanco. 

Ha chiesto ancora e ancora un po' di musica per esibirsi sul palcoscenico dell'esistenza e prenderla per mano sino all'ultimo giorno, regalando alla platea estasiata ed incredula riflessioni e perle di saggezza che adesso siamo chiamati a custodire gelosamente. 

Ha amato ogni singolo istante, non si è mai risparmiato né ritirato né ha smesso di arricchirsi culturalmente, avanguardia persino dopo i cento anni, sempre un passo avanti, con la lungimiranza dei geni e la competenza degli artigiani che cesellano il pensiero e la parola con meticolosità certosina. 

Ha dipinto senza mai raggiungere l'apice, così diceva, e credo sia stato un bene, in quanto questo senso di incompiutezza è stata la molla che ha mosso la sua anima e spinto in avanti la sua mente in continua e fantastica ebollizione. 

Un moto perpetuo, Gillo Dorfles, essendo tutto senza mai sentirsi nulla di particolare, persino autocritico, lui che si sarebbe potuto permettere di non esserlo. 

E ora che se n'è andato non è il caso di star qui a riflettere sul vuoto che lascia ma sull'eredità straordinaria di cui siamo chiamati a prenderci cura. Diciamo, dunque, che lascia un pieno: un pieno di arte, di intelligenza, di gioia di vivere e di meraviglia. 

Ora danzerà lassù, intrecciando i passi di piu popoli e sentendosi ancora un cittadino del mondo e un alfiere dell'idea di Europa che vorremmo si realizzasse. E la platea continuerà ad applaudire e le luci, ne siamo certi, rimarranno accese.  

 

P.S. Addio anche a Carlo Ripa di Meana, ottantotto anni e una bella vita spesa in difesa dell'ambiente. Ci mancherà questo galantuomo figlio di un'altra stagione.  

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