Cinema e Teatro
"The Irishman" è il film dell'anno
Presentato la sera del 27 settembre a New York e a Roma nel corso del consueto Festival del Film, l'ultima opera di Scorsese sbarcherà su Netflix e in sala a novembre...
Riccardo Cotumaccio | 30 ottobre 2019

Partiamo da due presupposti fondamentali, utili per affrontare al meglio la lettura della recensione e - una volta in sala - la visione del film: primo, Martin Scorsese sa ancora fare film e, al contrario di tanti altri coetanei, s'è tutt'altro che impigrito; secondo: The Irishman non è un museo delle cere dove esporre tre vecchie leggende del cinema ringiovanite per l'occasione all'interno di un contesto prevedibile e noioso, anzi è vivo, frizzante ed emozionante. Nonché molto atteso, non solo perché diretto da Scorsese - tornato a trattare storie di grande criminalità - ma anche per la presenza di una triade non da poco: Joe Pesci, Robert De Niro e Al Pacino. L'opera, lunga 209 minuti (avete letto bene, più di tre ore) sfiora il rivoluzionario sotto diversi aspetti: è prodotta da Netflix (prima volta di Scorsese), è costata molto (140 milioni di dollari), segna il ritorno sulle scene di Pesci (due film nei precedenti vent'anni, di cui l'ultimo nel 2010) e propone agli spettatori una particolare tecnica per il ringiovanimento digitale degli attori.

The Irishman è basato su un famoso romanzo sulla storia di Frank Sheeran, un criminale statunitense di origini irlandesi conosciuto appunto come “The Irishman”, che ebbe a che fare con la morte del sindacalista Jimmy Hoffa nell'epoca forse più violenta degli Stati Uniti, a metà degli anni '70. De Niro è Sheeran, Al Pacino è Hoffa. Presentato la sera del 27 settembre a New York e a Roma nel corso del consueto Festival del Film, la pellicola non ha sostanzialmente ricevuto stroncature trovando invece l'entusiasmo di gran parte della critica. De Niro ha rappresentato, con Scorsese, una delle migliori coppie della storia del cinema (Taxi Driver, Toro Scatenato, CasinoQuei bravi ragazzi, per citare alcuni classici); Al Pacino non aveva mai recitato per Scorsese e solo in poche occasioni con De Niro mentre Harvey Keitel ritrova il regista di cui è stato feticcio a inizio carriera (Mean Streets e Alice doesn't live here anymore).

L'opera può considerarsi divisa in due, giganteschi filoni: la prima parte è un'introduzione della storia a grandi linee, raccontata da un anzianissimo Sheeran tramite l'utilizzo di costanti - e sovrapponibili - flashback. Qui il ritmo scorsesiano è da subito riconoscibile e aiuta la sopportazione del lungo minutaggio: primi piani, slow motion e lunghi carrelli valorizzano la sceneggiatura preziosa e mai noiosa, composta da dialoghi e monologhi di grande spessore e - neanche a dirlo - interpretazioni superbe. La morte di Hoffa spezza letteralmente in due lo scorrere degli eventi e soprattutto il destino del film; come un colpo imprevedibile allo stomaco, la scomparsa di uno dei tre protagonisti inverte inesorabilmente lo stato d'animo dello spettatore accompagnandolo lentamente verso l'epilogo. È qui che emerge la maestosità di De Niro: il suo personaggio, inizialmente in disparte, prende fuoco fino a esplodere in maniera tutt'altro che convenzionale, priva di monologhi di spicco ma riuscita nella sua più nascosta intimità. Ad Al Pacino, invece, basta fare l'Al Pacino: l'efficacia, la gestualità e la grande fisicità del premio Oscar americano emergono come non avveniva da tempo (azzardiamo, da "Il mercante di Venezia" datato 2002). La prova di Joe Pesci regala cinismo e tenerezza allo stesso tempo: non è il gangster convenzionale dei precedenti lavori di Scorsese, stavolta sa stare al suo posto guardando tutti dall'alto con eleganza ed esperienza.

Tante delle perplessità lecite, ponderate nei mesi precedenti all'uscita del film, vengono spazzate via da un'opera travolgente per qualità e precisione, scrittura e direzione, cast tecnico e artistico. Funziona tutto come dovrebbe e non c'è spazio per momenti celebrativi o strizzate d'occhio a un pubblico nostalgico: The Irishman è una ventata d'aria fresca pur trattando un tema ciclicamente riproposto negli States - quello criminale - con attori che hanno già scritto la storia di quel genere. È forse questo il traguardo più grande raggiunto da Scorsese: non aver fatto un film di mummie per vecchi ma un film straordinariamente moderno con i veterani migliori che potessimo desiderare, regalando peraltro a De Niro e Al Pacino un dono che tutti noi dovremmo applaudire: un capolavoro recitato assieme, perla che incredibilmente - nel mondo del cinema - mancava in una collana oggi più che mai completa e luccicante.

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