Interviste
Filosofando. A colloquio con Gianni Vattimo
Ci vorrebbe una vera emergenza
Troppa stabilità immobilizza, le piccole crisi attuali non porteranno a reali trasformazioni. Ne è convinto il filosofo Vattimo che ai giovani dice: la democrazia non si ottiene una volta per tutte
Laura Santi Amantini | 2 febbraio 2012
La nostra è un’epoca tranquilla, troppo tranquilla. Non perché non ci sia nulla da cambiare, ma perché siamo ormai così convinti dell’inutilità di qualunque sforzo che non facciamo più niente.
Sollevazioni come quelle della primavera araba e movimenti come quelli degli Indignados sono fonte di speranza, ma non si possono paragonare al Sessantotto. Credo che fosse più divertente essere giovani in quel periodo, perché l’irrequietezza propria della gioventù era rispecchiata dal rinnovamento che investiva l’intera società. All’epoca io ero già professore all’Università ed ero combattuto tra le istanze di cambiamento e il mio ruolo che mi poneva dall’altra parte della barricata. Non lo ricordo come un momento allegro, ma ricco di vitalità, quella vitalità che oggi manca.
Heidegger diceva che la vera emergenza è l’assenza di emergenza, ed è proprio così. Oggi viviamo in una condizione di piccole crisi che non danno mai luogo a reali trasformazioni. La parola chiave è stabilità, che naturalmente è importantissima, ma ha anche una connotazione negativa: il rischio è di non cogliere le occasioni di cambiamento, di limitarsi a conservare l’ordine esistente riparando di volta in volta le falle che si creano. Chi parla più di trasformare i rapporti di proprietà o le strutture del mondo del lavoro? Una società sempre più calcolabile e prevedibile tranquillizza, ma alla fine immobilizza.

Restate svegli!
In politica è cambiato troppo poco, ma è difficile per i giovani entrare nel vivo della competizione. Paradossalmente, era più facile prendere una decisione per chi viveva, ad esempio, al tempo della Resistenza: la situazione era così intollerabile da spingere i ragazzi a diventare partigiani.
Quello che dobbiamo capire è che in realtà la democrazia non si ottiene una volta per tutte. La democrazia consiste nella conquista di nuovi spazi di libertà. Certo, non è rassicurante sentirsi sempre mobilitati, ma non dobbiamo continuamente ridiscutere le norme per non rischiare di adagiarci. I piccoli conflitti sono importanti per mantenerci svegli. Ed è importante stare svegli insieme; se vogliamo cambiare qualcosa dobbiamo riunirci e discutere, piuttosto che leggere in solitudine il Capitale di Marx.
La tentazione di impigrirsi è forte. Non è una novità, già Oscar Wilde diceva: “Il socialismo è una bella cosa, ma fa perdere troppe serate”. Confesso che perfino io preferisco un bel film alla lettura del Capitale o all’ennesima riunione politica.
Il nuovo oppio dei popoli è la televisione. I media sono un’arma potente, ma possono diventare anche una droga collettiva, se usati per stordirci, per darci l’illusione di poter arrivare in un attimo ai nostri cinque minuti di fama, senza impegnarci realmente.

Salvati dalla Rete?
Non è facile riuscire a fare informazione libera e indipendente. L’ostacolo maggiore non è tanto la volontà di qualcuno, quanto le ragioni economiche. I piccoli giornali, meno diffusi, ma più interessanti proprio perché più indipendenti, sono sull’orlo del fallimento, e l’informazione tende a concentrarsi sempre di più nelle mani di chi ha già molto potere.
L’unica soluzione, in questo momento, è la Rete, che ha svolto un ruolo fondamentale per le rivoluzioni arabe. Ma per quanto tempo ancora rappresenterà una valida alternativa? Anche per ovvie ragioni di sicurezza, questi canali stanno diventando sempre più controllati, più accessibili ai governi, e di conseguenza meno liberi.

Università: più idee, meno profitto
La situazione dell’università italiana è drammatica. L’Italia sta cercando di innestare brutalmente un modello privatistico di stampo americano su una lunga tradizione di istruzione pubblica. Le università americane sono piccole imprese capitalistiche in concorrenza tra loro, per questo, se funzionano, funzionano davvero bene.
Ciò che dobbiamo tenere presente è la differenza tra la gestione del pubblico e quella di un investitore privato: il privato deve valutare la rendita immediata, mentre il pubblico, la politica, può avere prospettive più a lungo termine. Deve ispirarsi più alle idee e meno al profitto. Questo non vale solo per l’istruzione, ma per tutti i settori.
Nel resto d’Europa la situazione dell’istruzione non è poi così diversa da quella del nostro Paese, proprio perché la mentalità dei governi è simile.

La filosofia salva l’anima
Lo confesso, sono un fan del Sud America, di Paesi come il Venezuela, del quale spesso si dice male, dove il denaro viene gestito in maniera alternativa.
Tutto l’ordine mondiale è in mano al potere economico. È un contesto nel quale la cultura, specialmente quella umanistica, non immediatamente applicabile, finisce per essere stritolata.
Siamo in una fase storica nella quale un laureato in materie scientifiche ha qualche possibilità di impiego, mentre un laureato in filosofia sembra candidato al suicidio o, se è fortunato, a vivere della pensione dei nonni. Ma studiare filosofia, o letteratura, è fondamentale per salvarsi l’anima, per non diventare solo una rotellina negli ingranaggi della società della comunicazione e del consumo.
Se le facoltà scientifiche offrono ancora qualche possibilità ai ricercatori è perché giocano sull’intervento del capitale privato. Eppure, è fondamentale tenere viva ogni tradizione di pensiero. Una società senza filosofia è una società di lotta a coltello per guadagnare di più, e nient’altro.
Non ho una ricetta per una nuova società, non posso che sperare di limitare i danni di quella nella quale viviamo. Certo, i giovani siete voi, perciò, datevi da fare!
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