Scuola
Il mestiere del mese
Studia, testa di legno!
Impegno, passione e tanto studio. Stefano Cigalini, titolare della storica falegnameria, ci racconta la bellezza di uno dei mestieri più antichi del nostro Paese
Laura Santi Amantini | 14 marzo 2014
Qual è la giornata tipica di un falegname?
La giornata inizia presto: alle otto. Si portano avanti i lavori iniziati in laboratorio, si ricevono i clienti, si fanno sopralluoghi nei cantieri, ma a volte vengono anche persone o architetti per nuovi progetti. È un lavoro creativo: si parte dall’idea dell’architetto che però ha bisogno dell’occhio di un falegname per essere messa in pratica. Diciamo che siamo un filtro per vedere se quello che viene pensato è realizzabile. Infine, non bisogna dimenticare che come tutti i lavori in proprio c’è anche una parte amministrativa.
Come si è avvicinato al mondo della falegnameria?
Ho frequentato un istituto tecnico commerciale che mi è servito per imparare a gestire la parte amministrativa. Poi ho conseguito due specializzazioni: una in arredamento e una in antiquariato applicata alla storia dell’arte e al mobile antico. Dopo aver terminato la scuola, infatti, mi sono reso conto che avevo delle lacune e le ho colmate con queste ulteriori specializzazioni.
Quindi è una questione di studio?
Non solo. Quello del falegname è un mestiere molto bello, creativo, lascia libero spazio alla fantasia e offre la possibilità di mettere del proprio in quello che si fa. È importantissimo, infatti, non fermarsi solo a ciò che ci viene insegnato ma usare la propria inventiva.
Vi sentite più falegnami che restauratori? Che differenza c’è?
Noi siamo un po’ entrambi perché l’attività si è sviluppata in parallelo in questi due canali. I due lavori sono complementari: quando servono determinati innesti per un restauro ci vuole una pratica di falegnameria anche solo per riconoscere i legni; al tempo stesso, quando si parla più dell’estetica del prodotto serve un po’ di pratica di restauro come la lucidatura a tampone fatta a lacca o a cera e i trattamenti anti tarlo.
Di solito che tipo di clientela si rivolge a voi?
Si va dall’architetto che vuole sfruttare al meglio uno spazio della casa a chi magari ha un divanetto rotto e lo vuole risistemare.
Quali sono gli strumenti base del mestiere?
Se parliamo di utensili manuali: scalpello, pialletto, martello, un po’ quegli strumenti antichi perché chiaramente la manualità è sempre presente e l’esperienza datata negli anni è un nostro grande punto di forza. D’altra parte, oggi è molto importante stare in linea con i tempi e con la concorrenza: in questo i nuovi macchinari e le nuove attrezzature ci hanno avvantaggiato. Squadratrici, piallatrici, sega a nastro e sezionatrici fanno la differenza.
Quali sono le difficoltà maggiori e quali le maggiori soddisfazioni?
Senza dubbio il fatto che, essendo un lavoro manuale, all’inizio si incontrano molte difficoltà tecniche, soprattutto con gli strumenti. Da ragazzino capitava spesso che mi facessi male con il martello o con lo scalpello, ma non mi lasciavo abbattere. Al tempo stesso grande soddisfazione si ottiene perché è un lavoro creativo ma al tempo stesso tecnico: il sentire la fibra del legno e poter realizzare qualcosa da un’idea è una sensazione indescrivibile.
Un ragazzo che non ha tradizione familiare come può avvicinarsi a questo mestiere?
Al giorno d’oggi non è per niente facile se non si ha un’azienda di famiglia a cui appoggiarsi: credo che ci sia sempre bisogno di una base a livello familiare. In ogni caso, chi è appassionato deve prima di tutto cercare di inserirsi in una realtà lavorativa, respirare l’aria dell’ambiente del lavoro.
È ancora possibile andare a bottega o ci sono dei corsi?
Ci sono dei corsi che permettono poi agli studenti di fare degli stage in bottega. Questo facilita gli imprenditori anche per quanto riguarda i costi. Purtroppo uno svantaggio è la durata di questi stage: troppo brevi per permettere agli studenti di imparare.
Quanto tempo servirebbe per apprendere il metodo?
Minimo un anno per capire gli strumenti che hanno usato, ma non ancora per i fondamenti. Io posso dire che dopo 21 anni di lavoro ho ancora bisogno di imparare: ogni giorno si apprende una cosa diversa. Per essere autonomi servono almeno quattro o cinque anni di laboratorio fissi.
Che consigli dareste ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere?
Siate motivati, perché è un lavoro che richiede molto impegno e tempo. Pensate che all’inizio tutte le cose sono difficili, soprattutto in questo tipo di lavoro, e che bisogna insistere di fronte alle difficoltà.
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