Sport
Dai Traci alla Ferrari, l'evoluzione del cavallo come bene di lusso
Da mezzo di conquista a pezzo da collezione, passando per i campi e l'illuminazione di Enzo Ferrari
Jacopo Borgia | 24 febbraio 2021

Come disse Samuel Johnson: “Una mosca può pungere un cavallo maestoso e farlo trasalire, ma quella è soltanto un insetto, e questo, pur sempre, un cavallo”. Tradotto in termini odierni, sarebbe più o meno: “Una Fiat e una Ferrari ti porteranno comunque a destinazione, ma quella è soltanto una Fiat, e questa, pur sempre, una Ferrari”. Le due frasi hanno dopotutto lo stesso obiettivo: ridicolizzare un paragone quasi impossibile. Come sottolinea Johnson, è infatti impensabile mettere a confronto un essere così insignificante e miserabile, come la mosca (o una Fiat), con un altro dalla così “brutale” eleganza, il cavallo (o una Ferrari). Questi ultimi due sono sinonimi di forza, potenza, maestosità, e soprattutto esclusività: rimandano ad uno status sociale elitario. Trovarsi su un cavallo o una Ferrari su una strada affollata, conferisce quasi il “potere” di dividere la folla come Mosè divise le acque, con l’unica differenza che le onde continuarono il loro moto e non prestarono attenzione a ciò che le attraversava. Il passaggio di una Ferrari è oggi invece da considerarsi un “avvistamento”, così come quello di un cavallo arabo - la razza più antica e formidabile - un’ “apparizione divina”.

Una preziosa macchina da guerra

Si può quindi pensare al cavallo e alla Ferrari come compagni staffettisti in una gara che serve a determinare l’emblema dell’esclusività: il primo, dopo aver accumulato un vantaggio quasi incolmabile, ha passato il testimone alla seconda, la quale, in un futuro più o meno lontano, lo cederà a sua volta. Ma qual è lo step successivo? Cosa primeggerà nella prossima fase evolutiva dell’esclusività? Si distingueranno sempre potenza ed eleganza? Nessuno può dirlo, ma ciò che conosciamo è lo step precedente: il cavallo si è guadagnato la scena seimila anni fa - quando venne addomesticato per la prima volta - non lasciandola fino al 1929, anno di nascita della Ferrari. Ma per capire meglio questo passaggio di consegne è bene comprendere prima la parabola discendente che la storia e l’evoluzione del cavallo rappresentano.

Questa specie animale fa la sua comparsa sulla Terra oltre due milioni di anni fa, ma solo nel IV millennio a.C. inizia quel processo di addomesticamento da parte di popolazioni dell’Eurasia Centrale che porterà all’impiego del cavallo da parte dell’uomo in vari ambiti. Dalle popolazioni antiche, il cavallo era apprezzato principalmente per la sua forza, resistenza e velocità. Per queste caratteristiche, venne utilizzato sia in ambito civile, come mezzo da soma o da traino per aratri o carri, sia in quello militare, come per i carri achei o le cavallerie dei Traci, degli Unni e degli Ottomani, in virtù delle quali nuovi imperi vennero forgiati. Ma i costi di mantenimento erano alti, e si andò dunque a creare una nuova classe sociale, formata da “equites” (“cavalieri” in latino), uomini di alto lignaggio con un grande patrimonio. Questa nuova classe sociale sopravvisse alla caduta dell’Impero Romano e a tutto il Medioevo, disgregandosi solo nel corso dell'Età Moderna, parallelamente al ridimensionamento delle mansioni belliche del cavallo, ritenuto superfluo già a partire del XVIII secolo per via delle nuove tecnologie disponibili. Possiamo affermare che il cavallo raggiunse l'apice della sua esclusività durante il Feudalesimo, anche grazie ai poemi cavallereschi, mentre la sua “discesa” si è concretizzata nella prima metà del Novecento, con l’avvento delle automobili e altre tecnologie destinate a sostituire il lavoro animale. Il suo ruolo cominciò quindi ad essere limitato ai soli spettacoli circensi e alle competizioni sportive.

Il cavallino rampante

Nel 1692 nacque presso i Savoia il reggimento "Piemonte Reale Cavalleria”, che adottò come simbolo quel cavallo rampante che, secoli dopo, il maggiore Francesco Baracca fece dipingere sul suo caccia. Per onorarne la memoria dopo la morte in battaglia, nel 1923 i suoi genitori donarono al pilota Enzo Ferrari uno stendardo con sopra il cavallino nero, chiedendogli di metterlo sulla propria macchina. Ferrari decise di utilizzarlo, con l'aggiunta di un fondo giallo canarino (simbolo della città di Modena) e del tricolore, come logo delle sue auto da corsa. L'uso venne poi ampliato a tutte le autovetture prodotte.

Ma Ferrari non si limitò solo a questo. Egli prese ciò che il cavallo era stato e rappresentava, e ne fece delle automobili. Per questo motivo oggi la Ferrari è ciò che si avvicina di più al cavallo presso gli antichi, condividendone la stessa essenza. Al mondo esistono altri brand che hanno scelto il cavallo come emblema, sebbene non riescano a inglobarne tutte le caratteristiche: la Mustang e la Porsche ne rappresentano la potenza e la forza, mentre Polo Ralph Lauren, Hermes e Burberry l’eleganza. Tutti hanno però in comune l’esclusività, inferiore forse solo al cavallo stesso (le razze di maggior prestigio vengo vendute anche per 70 milioni di euro, e il mantenimento annuale di un esemplare comune raggiunge i cinquemila euro).

Un ideale immortale

Possiamo dunque concludere affermando che il cavallo in sé è ormai, o lo sarà in un futuro abbastanza prossimo, un simbolo appartenente al passato. Tuttavia, i suoi ideali di bellezza e potenza sono e saranno sempre vivi e attuali, soprattutto grazie ad una società in costante ricerca del bello e del raro come la nostra, in cui brand come Ferrari ne rappresentano il non plus ultra. Alla fine aveva ragione Johnson: il cavallo non è una mosca. 

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