Ambiente
Economia sostenibile e greenwashing
Sempre più aziende si mostrano attente ai problemi ambientali, ma la realtà non sempre corrisponde a quanto dichiarato
Andrea Filigheddu | 14 maggio 2021

Il Greenwashing, che in italiano è traducibile con “lavaggio verde”, è una pratica sempre più diffusa tra i grandi brand e consiste nel dare un’ immagine eco-friendly dell’azienda in questione, anche se quest’ultima nella realtà dei fatti è tutto tranne che sostenibile.

Il caso BP

È esplicativo e utile a comprendere la portata di questo fenomeno il caso “BP”. “BP” è uno dei colossi dell’energia fossile, responsabile nel 2010 del disastro ambientale nel Golfo del Messico. La sigla sta, o meglio stava, per “British Petroleum”. Ebbene sì, perchè dal 2004, in un rocambolesco tentativo di rendere la propria immagine “più green”, diventa invece acronimo di “Beyond Petroleum” (oltre il petrolio). Inutile dire che una compagnia che da sempre si occupa di combustibili fossili, anche se cambia logo e nominativo, non diventa una paladina delle energie rinnovabili dal dì alla notte. La maggior parte dei progetti sostenuti da quest’azienda sono, infatti, ancora connessi per più del 90% ad operazioni tutt’altro che sostenibili.

Il mondo della moda

Connessi al Greenwashing troviamo anche alcuni marchi di moda, che negli ultimi anni, in linea con l’aumento di persone con una coscienza ecologica, hanno cercato di dare di sé un’immagine diversa da ciò che sono in realtà. Addirittura H&M ha dichiarato di voler produrre vestiti al 100% sostenibili entro il 2030, avvalendosi di un nuovo materiale chiamato “Circulose”. Quest’operazione è in realtà uno specchietto per le allodole in quanto “fast fashion” e sostenibilità sono e rimangono totalmente incompatibili. Il problema dei danni ambientali causati dall’industria della moda si risolve producendo meno e meglio. L’obiettivo, cioè, deve essere spingere i consumatori a comprare meno perché i capi vantano una qualità tale da durare nel tempo. Purtroppo non è verosimile che questo accada perché il fine ultimo delle multinazionali della moda non è la salvaguardia del pianeta, come vogliono farci credere, ma il mero guadagno.

L'obsolescenza programmata

Un altro concetto che necessita di essere introdotto è l’ “obsolescenza programmata”, ovvero l’abitudine delle aziende di creare prodotti poco duraturi in modo da spingere chi compra ad acquistare più spesso lo stesso oggetto a causa di malfunzionamenti o altro. Questo fenomeno e il Greenwashing spesso vanno di pari passo e l’utilizzo di nuovi materiali più “sostenibili” è inutile se questi ultimi si deteriorano in poco tempo.

Che fare?

Come difendersi allora dal Greenwashing? Purtroppo non è semplice, ma esistono alcuni metodi. Per esempio, ogni qual volta sentiamo un’azienda che si vota a drastici cambiamenti in favore dell’ambiente, controlliamo sempre la veridicità dei dati: da dove l’azienda prende le materie prime? Come tratta i dipendenti? Di quali macchinari si serve per il processo produttivo? Parlare e informare, quindi, sono importantissimi per diffondere consapevolezza. In conclusione, anche se destreggiarsi in un mare di aziende, dati e statistiche può risultare sfiancante, è uno sforzo necessario se non si vuole finire nella rete del Greenwashing.

 

Foto | Uwe Hermann on Wikimedia Commons

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