Attualità
Karl Marx e la sua attualità
A duecento anni dalla nascita del pensatore di Treviri
Roberto Bertoni | 5 maggio 2018

Ciò che impressiona di Karl Marx, a duecento anni dalla nascita, è la straordinaria attualità delle sue teorie. E no, non è affatto positivo constatare che siamo sempre gli stessi, gli stessi uomini "della pietra e della fionda", con un lavoro sfruttato, alienante e privo di diritti e lo spettro di una regressione dei medesimi che ormai è una realtà pressoché in tutto l'Occidente. 

Ciò che aveva capito, infatti, il pensatore di Treviri non è tanto l'insostenibilità del modello capitalista, destinato ad avvitarsi su se stesso, fino a trascinare l'umanità in una spirale di molteplici crisi; ciò che aveva capito il nostro è, soprattutto, il bisogno di comunità e unione delle classi subalterne. 

Il vero smacco, dunque, non è l'avanzata del capitalismo arrembante, reso ancor più insostenibile dal liberismo che lo innerva e dalla progressiva scomparsa di quelle tutele in grado, quanto meno, di mitigarne la portata distruttiva; il vero smacco della società contemporanea è l'atomizzazione degli individui e l'affermarsi di un modello egoista che è quanto di più deleterio possa esistere. 

"Proletari di tutto il mondo, unitevi!": inizia così il Manifesto del Partito Comunista che egli redasse nel 1848 insieme a Friedrich Engels, e in questo messaggio è racchiusa la sua visione del mondo. 

Porre al centro l'aspetto economico e trasformarlo in una categoria sociale e in un cardine del dibattito politico e filosofico: questo era senz'altro uno degli intenti del più celebre fra gli esponenti della sinistra hegeliana. Ma poi c'era un altro aspetto che molti tendono, consapevolmente o inconsapevolmente, a misconoscere: l'assoluto bisogno di aggregazione degli esseri umani.  

Karl Marx, difatti, aveva intuito, prima e meglio di altri, che l'uomo, in quanto "animale politico", secondo la definizione che ne fu data, a suo tempo, da Aristotele, aveva e avrà sempre bisogno di un luogo in cui esprimere le proprie idee e in cui trovare dei compagni disposti ad ascoltarlo. Il comunismo, inteso in senso marxiano, è questa cosa qui: la politica vista come motore della storia, come spazio sociale in cui dei singoli senza prospettive possano trovare insieme un orizzonte di lotta e degli ideali in grado di metterli nelle condizioni di battersi per la propria dignità.  

Piaccia o meno, il movimento comunista sviluppatosi nel Novecento ovunque nel mondo partiva da questi presupposti. Che poi, in alcuni casi, sia sfociato in atroci dittature e, di fatto, in nuove forme di alienazione e prevaricazione nei confronti di esseri umani inermi è inaccettabile ma non muta in nulla e per nulla la validità delle intuizioni del Moro. 

Il marxismo è stato alla base della Rivoluzione russa e, in parte, anche della Lunga marcia di Mao, il che non significa che poi Stalin e lo stesso Grande timoniere non ne abbiano stravolto i presupposti originari, piegandoli alle proprie brame di potere. 

Il marxismo è stato senz'altro alla base della nascita del Partito Socialista nel 1892 e del Partito Comunista nel 1921, oltre ad aver innervato le Unions inglesi, il Labour e la socialdemocrazia tedesca nella fase apicale della Seconda rivoluzione industriale. È stato, pertanto, un movimento di portata globale, l'ultima grande visione del mondo, lungimirante e di ampio respiro, che si ricordi. E il fatto che a centosettant'anni dalla sua redazione, il Manifesto di Marx ed Engels sia tornato in auge dimostra quanto avessero ragione in particolare su un punto: una società che dimentica l'uomo non è solo ingiusta ma è destinata ad andare incontro ad un fallimento dalle conseguenze imponderabili. 

Stando alle vicende di casa nostra, per circa un secolo il marxismo ha ispirato alcune delle principali comunità politiche che si sono mosse sulla scena, differendo dal personalismo cristiano unicamente in un punto decisivo: l'uno tendeva ad affermare il valore della collettività e la sua supremazia sul singolo individuo; l'altro, pur non negando l'importanza della collettività, tendeva a rivendicare la peculiarità di ogni persona, quindi la sua straordinaria ricchezza. 

Dopo la caduta del Muro di Berlino, qualche illuminato pensatore contemporaneo si è illuso di poter riporre il marxismo nel cassetto e, quasi quasi, anche il personalismo cristiano, sostituendoli con una serie di improbabili teorie improntate al massimo cinismo e ad una visione falsamente pragmatica che sarebbe francamente eccessivo considerare tale. Il nulla assoluto, fino a quell'aberrazione, oggi rivendicata con voluttuosa ignoranza da molti, della post-ideologia, ossia di una politica senz'anima, senza cuore, senza orizzonti, senza ideali e senza una rivendicazione dello spazio e del ruolo che il singolo e la collettività devono ricoprire nel contesto sociale. Una scemenza senza eguali ma pochi, pochissimi hanno avuto finora il coraggio di farlo notare. 

Peccato che nel 2008 ci abbia travolto una crisi di sistema di portata mondiale che ha mutato i nostri paradigmi interpretativi e il nostro modo di essere, costringendo l'intero Occidente a fare i conti con l'esaurirsi di un mito, quello capitalista, che ormai appare, ogni giorno di più, come un Dio che ha fallito, avendo posto il profitto al di sopra di ogni altra cosa e condotto così milioni di persone sull'orlo della disperazione, privando il lavoro della sua imprescindibile funzione di costruzione di una società migliore. 

Un lavoro che non c'è, un lavoro fragile, alienato, senza diritti e senza dignità, un lavoro che esclude i giovani, arricchisce chi è già ricco e non serve più a strappare alla povertà e al bisogno chi pure riesce ad accedervi: un lavoro inutile, pertanto, e di conseguenza distruttivo e privo della sua missione emancipatrice. Un insulto all'articolo 1 della nostra Costituzione, al Codice di Camaldoli e alla bellezza del nostro stare insieme che, infatti, non esiste più, in questo universo di monadi e di esseri sconfitti che vagano alla disperata ricerca di una meta o, per lo meno, di un orizzonte di senso. Da qui l'ascesa dei cosiddetti "populisti", gli unici che con ricette sbagliatissime, superficiali e, talvolta, anche pericolose si sforzano, tuttavia, di infondere un minimo di calore nei cuori di una comunità bisognosa di tornare a sentirsi tale. 

Se vogliamo cercare le radici della sconfitta epocale della sinistra, partiamo da qui, riflettendo anche sul fatto che la storia non venga più studiata come si deve e non venga più considerata nella sua interezza, come un susseguirsi di eventi legati l'uno all'altro, avendo il liberismo selvaggio condotto all'atomizzazione persino le categorie di pensiero. 

Karl Marx, due secoli fa, e la splendida sensazione che abbia ancora tanto da dirci e da darci. 

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