Attualità
Scienza e comunicazione: "Si dia fiducia a Tik Tok"
Qual è il ruolo delle fake news nella comunicazione sanitaria? Ne parliamo con il prof. Dotti dell’Università di Pavia
Gaia Canestri | 3 ottobre 2023

Docente di Professioni dell’editoria al corso di laurea in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità dell’Università di Pavia, giornalista e direttore editoriale di BV Farm, con il professor Marco Dotti abbiamo parlato dei rischi delle fake news in ambito sanitario ma anche delle potenzialità di Tik Tok nella comunicazione scientifica. La sua è una visione consapevole ma anche ottimistica nei confronti delle giovani generazioni, purché già dalla scuola si instauri un nuovo patto di comunicazione.

 

Partiamo dalle fake news. Come possiamo definirle?

Tendiamo a classificare le fake news prendendo in considerazione solo il termine “fake” ma non anche “news”. Le fake news non sono false tout court, è sbagliato ridurle a semplici bufale, perché agiscono sul codice della verosimiglianza e producono effetti di verità. Mi spiego: il tema della bugia nella storia occidentale è sempre stato legato all’intenzione di ingannare, ma le cosiddette fake news hanno dentro anche altro: innescate spesso da una volontà mendace e da interessi di vario tipo, proliferano al di là delle intenzioni dei soggetti. Ci sono tanti “portatori sani” di fake news e nel loro processo di evoluzione si ingrandiscono e producono effetti di verità. Non sono scardinabili solo svelando la mala intenzione di chi le ha lasciate. È necessario fare un’attività di critica, analisi ma anche recupero nei confronti dei portatori di fake news che prescindono dalle proprie intenzioni.

 

Anche in ambito salute capita spesso di sentire notizie straordinarie o totalmente fuori dal comune che si rivelano poi essere fake news. Crede che questo tipo di disinformazione sia più pericoloso quando riguarda un tema così delicato?

Assolutamente sì, perché va a toccare elementi vitali in contesti di grande fragilità. L’ambito sanitario è uno dei più delicati e pericolosi da questo punto di vista e diventa una porta privilegiata per il proliferare di fake news che spesso vanno a toccare anche altri ambiti sensibili, creando un castello di cristallo che alcuni chiamano complottismo: creano una realtà alternativa che provoca un distacco dalla realtà quotidiana concreta.

 

Salute e comunicazione. Se dovesse scegliere tre parole per definire il legame tra questi due termini, quali utilizzerebbe?

Consapevolezza, critica e comunità. Abbiamo l’obiettivo di creare una comunità critica e consapevole più ampia. In questo contesto la comunicazione è fondamentale, perché il legame su cui si fonda la comunicazione è la relazione di fiducia.

 

In Italia e nel resto del mondo come viene raccontata la medicina sui media? Crede che sia un metodo efficace?

La comunicazione della medicina e in generale della scienza sta iniziando a funzionare anche grazie a molti influencer: scienziati e divulgatori preparati e competenti che hanno autorevolezza e utilizzano mezzi che intercettano i giovani. Questa comunicazione è molto positiva anche in termini di costruzione di consapevolezza. Il giornalismo tradizionale invece ha una comunicazione più fredda e meditata nei confronti della quale sono piuttosto critico perché tende a inseguire il clic e non a educare alla lettura.

La comunicazione social però ha anche dei rischi. Oltre a divulgare, una piattaforma come Tik Tok può rivelarsi anche una pentola d’ora di fake news. È d’accordo?

Sì. È un calderone in cui c’è tutto; un terreno rischioso su cui però la scienza deve giocare la sua partita. I social hanno un potenziale importante perché i giovani vi cercano informazioni e non solo svago. Dobbiamo trovare il modo di dare informazioni corrette con il loro linguaggio perché sono i primi a cercarle. L’occhio che guarda deve però ricevere un’educazione ed è quindi necessario attivare strumenti di consapevolezza anche su chi riceve l’informazione. Non solo su chi la crea. 

 

Sempre rimanendo in tema comunicazione e salute non possiamo non affrontare la questione della resistenza antibiotica. Ad oggi secondo l’Oms un terzo delle infezioni è causato da batteri resistenti agli antibiotici e se non invertiamo la rotta nel 2050 l’antibiotico-resistenza rischierà di diventare la prima causa di morte per l’uomo. Che impatto ha avuto la comunicazione su questo fenomeno?

Credo che la maggior parte delle persone non sappia cosa sia veramente un antibiotico. È un tipico esempio di una rivoluzione scientifica non accompagnata da una rivoluzione comunicativa. Oggi la resistenza antibiotica è una questione drammatica perché manca una consapevolezza di base. La mancanza di alfabetizzazione produce uno scollamento dalla realtà: è quell’effetto di verità delle fake news di cui parlavo prima. C’è stato un terreno di proliferazione su cui bisogna lavorare partendo dalle scuole, spesso escluse da tematiche fondamentali per l’educazione delle persone. 

 

Secondo uno studio del 2020 della Scuola di medicina dell’università di Catanzaro e del dipartimento di Medicina sperimentale dell’università Luigi Vanvitelli di Napoli, nelle farmacie italiane più di un farmacista su tre ammette di dispensare antibiotici senza la ricetta medica. Parte della responsabilità è anche loro?

Siamo nella stessa logica di certa comunicazione giornalistica che insegue l’algoritmo: in entrambi i casi si tende a trasformare tutto in funzione monetizzante. Per non perdere il cliente si creano danni. Le farmacie devono essere dei poli di informazione e non solo dei punti vendita. Prima di un’autodiagnosi sanitaria, bisognerebbe farsi un’autodiagnosi comunicativa. È necessario costruire un sistema di media diverso e in questo contesto anche l’intelligenza artificiale potrebbe essere nostra alleata, soprattutto se andrà verso la direzione di tarare la produzione di contenuti su fonti legittimate e scientifiche.

 

Come si crea una nuova generazione consapevole?

Ho molta fiducia nei giovani. Abbandonati a sé stessi in un contesto di caos informativo senza precedenti, stanno iniziando a discernere molto più di prima. Non sono soggetti passivi ma da coinvolgere in una fase proattiva di informazione. Penso che i giovani siano più scaltri, intelligenti e sensibili di quanto venga detto e vedo in voi gli attivatori anche nei confronti delle altre generazioni. Bisogna costruire una nuova alleanza con i giovani, educandoli alla consapevolezza dei mezzi di comunicazione e in questo processo va data loro anche una spolverata di metodo scientifico, spiegando i tempi e la fallibilità della scienza. I giovani non hanno mai letto tanto come adesso e dobbiamo recuperare il valore del testo, che ha un’importanza fondamentale rispetto alle immagini. I giovani devono essere educati ai testi, alla lettura lenta e non frammentata. Il giornalismo in primis deve educare a questo e lavorare su un’alleanza con i futuri e attuali lettori, svincolandosi dalla logica del numero.

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