Attualità
Opinioni tra maschere e false speranze
Chi ci vuole invincibili
La costruzione del mito nella nostra generazione passa per stereotipi che non fanno altro che renderci più fragili e più soli
Serena de Conciliis | 5 novembre 2015

Ci hanno descritti in tanti modi, ci hanno attribuito molti aggettivi. Siamo i ragazzi senza futuro, ma con il compito di crearselo. Siamo i cittadini del mondo, in un mondo ancora diviso. Siamo l’evoluzione, ma ancorati a ciò che ci portiamo dal passato. Siamo un controsenso. Così viviamo la nostra generazione tra vizi e virtù, sprofondando nel mare dell’apatia. Ad un certo punto ci viene offerta una mano per risalire, per tornare in superficie: è un falso aiuto in realtà, ma il più è fatto. Diventa il nostro pensiero assiduo, il nostro rifugio, la nostra abitudine, il nostro rischio. Diventiamo noi stessi il nostro mito. Fingiamo di incarnare tutti i nostri ideali, ciò che vorremmo davvero essere diventa la nostra maschera, il fumo che gettiamo negli occhi di chi ci guarda. Invulnerabili. Invincibili. Fino a renderci prigionieri di noi stessi, di ciò che abbiamo creato, un legame indissolubile tra noi e la nostra immagine.

 

Ci plasmiamo come ceramica, schiavi dei modelli, dei preconcetti, della massa. Il mito è diventato sempre di più sinonimo di estremo, esagerazione, esasperazione di ogni cosa. Disturbi alimentari causati dal mito della perfezione del fisico. Abusi di alcool e droghe perché di tendenza. Bullismo e violenze fisiche perché così si dimostra di essere come i predatori nel regno animale, dove vige la legge del più forte. Video virali diffusi sul web che dimostrano come tutto questo faccia di noi una società in decadimento. Siamo una città medioevale, con i pochi a governare sul pensiero dei tanti. Vorrei vivere, invece, in una società che si ispiri alla Firenze rinascimentale.

 

La città dei liberi pensatori. Ognuno con una propria valigia, contenente le proprie esperienze, tutte diverse, tutte da condividere o da custodire gelosamente per sé. Menti assetate di conoscenza che non riescono a dissetarsi con un oceano di storie e di scoperte. Proprio queste figure sono scomparse fra i modelli di riferimento: oggi le fonti d’ispirazione scarseggiano, come gli ideali. Quelli che servirebbero per iniziare una rivoluzione del pensiero e, solo in seguito, un cambiamento sociale.

Ci ritroviamo quindi anime perse, spiriti erranti. Al buio, vaghiamo inconsapevolmente alla ricerca di significati e veniamo abbagliati dalla prima scintilla di luce che vediamo. Quelle false speranze che si nutrono delle nostre paure, delle nostre ansie, del nostro non sapere come agire. Senza identità, ci lasciamo trascinare dagli altri, sorridendo, convinti di aver trovato la formula per l’immortalità. Non so come abbiano vissuto i nostri anni le altre generazioni, magari sentivano la stessa voglia di cambiare tutto e poi la stessa fragilità nel non riuscire neanche ad essere se stessi. Incatenati nei miti del loro tempo, negli stereotipi dei luoghi da cui provenivano. Magari avevano la stessa voglia di fuggire da casa e dalla realtà. So solo che qui, adesso, ci si sente di esplodere. So che mi sento circondata dal male di vivere. So che ci si sente vuoti, a ingere di essere pieni. Se l’amore, l’amicizia e la speranza non sono il mito di molti, ma l’utopia di pochi sognatori.

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