Fino ad oggi la scienza ha descritto quasi 2 milioni di specie animali e vegetali, ma si calcola che sulla Terra, considerando anche gli habitat più integri e inaccessibili come le foreste tropicali o gli abissi marini, ce ne potrebbero essere addirittura tra i 5 e i 100 milioni.
Questo incredibile e fondamentale patrimonio è tuttavia a rischio e, come ormai è noto, sul banco degli imputati è chiamato a rispondere l’uomo, responsabile di quell’annichilimento biologico che, secondo gli scienziati, ci sta conducendo verso la sesta estinzione di massa.
Tra le cause, oltre allo sfruttamento sconsiderato delle risorse, vi sono il consumo di suolo e la frammentazione degli habitat, l’aumento demografico, l’introduzione di specie invasive, e l’inquinamento. A peggiorare una situazione già di per sé preoccupante, sono i cambiamenti climatici che, secondo gli scienziati, sono da considerarsi innegabilmente di origine antropica.
Infatti, nonostante la storia evolutiva di molte specie ci dimostri la loro capacità di coevoluzione e adattamento con gli ambienti naturali in cui vivono, è drammaticamente evidente come l’intensità e la velocità del cambiamento climatico si stiano dimostrando superiori alla capacità stessa delle specie di adattarsi alle nuove condizioni aumentando così il rischio di estinzione che, attualmente, è di 100 volte maggiore rispetto al normale.
Animali e piante sono, dunque, le vittime incolpevoli e inconsapevoli di una situazione che noi stessi contribuiamo a creare ogni giorno: senza una riduzione immediata delle emissioni di CO2, entro la fine del secolo, il mondo perderà almeno la metà delle specie animali e vegetali oggi custodite nelle aree più ricche di biodiversità, come l’Amazzonia, le isole Galapagos e il Mediterraneo, che potrebbero perdere circa il 25% delle specie che le popolano.
Per agire rimane una piccola finestra di tempo che si sta chiudendo rapidamente ma che possiamo ancora spalancare attraverso l’impegno e la conoscenza.
Da questa piccola considerazione nasce la rubrica A nessuno piace caldo, ospitata dal programma Adattamenti in onda su Radio Città del Capo che ogni settimana racconta l’importanza e i rischi di una specie che potrebbe scomparire a causa del cambiamento climatico in atto.
Tra quelle da considerare più a rischio, vi sono le specie che dipendono da ecosistemi rimasti isolati per molto tempo o da habitat dagli equilibri delicatissimi come le cosiddette zone umide, le specie con un areale di diffusione ristretto, ossia che vivono in un solo luogo al mondo, e quelle che abitano luoghi estremi e latitudini elevate.
Gli ecologi hanno stimato, ad esempio, che il 33% di anfibi è inserito nella lista rossa dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN) e se le temperature del globo si alzeranno anche solo di 2°C l’Antartico potrebbe perdere il 75% della popolazione di pinguini di Adelia.
I pinguini di Adelia risentono infatti della riduzione dei ghiacci, della ridotta produttività marina e dell’aumento delle temperature esterne che portano pioggia anziché neve.
Le piogge bagnano il piumino dei piccoli esponendoli ad un veloce raffreddamento e quindi alla morte: da 18.000 coppie monitorate, nel 2017 sono sopravvissuti solo 2 pulcini.
Spostandoci verso climi più caldi, dobbiamo ricordare che anche le barriere coralline sono in declino a causa del riscaldamento globale e dell’acidificazione degli oceani dovuti ad un alto livello di CO2: nel 2016, in soli 7 mesi, il 30% dei coralli che compongono i 2.300 chilometri di barriera al largo della costa del Queensland è andato perduto e a farne le spese sono specie come i pesci pagliaccio che, con gli anemoni di mare hanno un rapporto simbiotico, dipendono cioè, l’uno dagli altri.
La domanda che dovremmo, dunque porci ogni giorno è: vogliamo davvero rischiare di vivere in un Pianeta dal quale sono destinati a scomparire specie quali gli elefanti, l’orso polare, gli alberi di Natale e le Volpi Artiche?
Se la risposta, come tutti ci auguriamo, è negativa, allora è fondamentale che l’impegno nella tutela di un Pianeta sul quale viviamo come testimoni di passaggio venga sempre più considerato un obbligo morale nonché un dovere che ci arriva dall’essere uomini.