Attualità
Servizi streaming vs tv, a quando il sorpasso?
Lo streaming ha il vantaggio dell'assenza della pubblicità e della flessibilità dei tempi, ma a che costo?
Andrea Filigheddu | 21 maggio 2021

Sono lontani i tempi in cui un certo orario della giornata era sacramente dedicato alla trasmissione di una serie: negli ultimi anni si sta assistendo a un cambio di direzione dalla tv tradizionale verso nuove piattaforme streaming, che permettono di seguire serie e film in base alle proprie tempistiche. È il caso di Netflix, Amazon Prime Video e Disney+.

Streaming: perché è così popolare?

Per trattare questi argomenti non si può prescindere dal significato del termine "streaming", che letteralmente significa "trasferimento dati senza interruzione". In pratica lo streaming è un processo che ha sostituito ciò che era il noleggio DVD, in quanto consente, in cambio di un conveniente abbonamento mensile, di avere una propria cineteca personale con centinaia di titoli, accessibile ovunque vi sia un’adeguata connessione a internet.

Ma quando è cominciato questo fenomeno? E come mai si è diffuso in modo così ampio in così poco tempo? In realtà si parla di tempi piuttosto recenti, ad esempio Netflix arriva in Italia nel 2015, mentre Amazon Prime, che forniva già un servizio di online shopping con alcuni privilegi per i propri membri, dal dicembre 2016 include tra questi servizi anche la piattaforma streaming Prime Video.

Le ragioni per cui questi siti siano diventati così popolari sono molteplici: una su tutte è che essi mirano a un pubblico giovanissimo. Essendo pensati e creati per tale pubblico, i siti streaming riescono dove la tv generalista aveva fallito, ovvero accaparrarsi la fetta di pubblico più ambita e attiva: i giovani.

Perché la tv generalista non ha presa sui giovani?

I motivi per cui la tv generalista non riesce a conquistare il pubblico più giovane sono vari: tra tutti spicca sicuramente la mancanza di programmi pensati per i giovani, da giovani. Questo genere di programmi sono infatti solitamente ideati da persone adulte, se non anziane, che pensano di sapere cosa vogliono le nuove generazioni, creando in realtà contenuti anacronistici e distanti da ciò che è in voga al momento. Questo grosso errore non è invece commesso dai siti streaming. Basti pensare a Zero, serie tv disponibile da poco su Netflix e scritta da Antonio Dikele Distefano. Classe ’92, aveva già un seguito importante derivante da alcune trasmissioni che conduceva su YouTube, come ad esempio Basement Café, dove intervistava vari rapper e cantanti italiani. Questo gli ha permesso di sponsorizzare il programma anche fuori dalla piattaforma stessa, come ad esempio sui suoi social, e di coinvolgere quindi un maggior numero di persone nella visione della serie tv. Lo stesso meccanismo vale anche per LOL - Chi ride è fuori. Il meccanismo si ripete in quanto a fare pubblicità al programma in questo caso è Fedez, celebre rapper milanese, che ha esortato i suoi 12.5 milioni di followers a vedere il programma che ha condotto.

In tutti e due i casi proposti, possiamo vedere come i siti streaming tendano ad attingere e sfruttare tutti gli altri canali di comunicazione e i social network a loro favore, mentre la tv generalista perde di vista la domanda del pubblico e le sue abitudini.

Il problema pubblicità

Un altro fattore che va a discapito della tv è la presenza continua di annunci pubblicitari. Ogni programma, anche il più breve, viene appesantito da almeno un annuncio pubblicitario. E in un mondo sempre più veloce essere obbligati a perdere tempo guardando cose non interessanti come gli spot diventa veramente improponibile. Essi sono sì alla base del finanziamento dei programmi tv, ma paradossalmente pare che gli spettatori preferiscano pagare di tasca loro pur di non sorbirsi la pubblicità. Le piattaforme streaming si presentano infatti come isole felici prive di interruzioni, freschi paradisi artificiali a pagamento dove ognuno guarda solo quello che gli va.

Difetti e futuro

Se si dovesse trovare un difetto nei servizi streaming, infatti, potremmo pensare al fatto che accontentano tutti, ma non uniscono. Come sempre quando cresce l’individualismo, esso va a discapito della collettività.

Ci si trova quindi davanti a famiglie in cui ognuno, nella sua stanza, guarda un programma diverso, e se prima si faceva fatica a spendere del tempo di qualità insieme, e la tv ha in parte risolto il problema, con le piattaforme streaming si rischia di far mancare qualsiasi possibilità di stare insieme.

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