Cinema e Teatro
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Un film sulla forza della memoria e sulla relazione tra un giovane e un anziano poeta ci porta a riflettere tra quello che è stato e quello che potrà essere con garbo e ironia
Alessandro Preanò | 7 settembre 2017

A volte la semplicità è sottovalutata. Non perché poco degna di attenzione o di lode, anzi, ma perché la minuziosa ricerca dei particolari, del colpo di scena o della perfezione estetica vengono oggettivamente posti in primo piano ed esaltati maggiormente. Francesco Bruni, dopo il successo di Scialla!, si ripropone al grande pubblico con un film fresco, poetico e necessario; un film tanto semplice quanto delicato; un romanzo di formazione che, tuttavia, commette solo l’errore di essere poco ambizioso. 

 

Scrive Bruni nelle note di regia: “Da qualche anno a questa parte, mio padre si è ammalato del morbo di Alzheimer. Gli esordi della malattia – prima che quest’ultima degenerasse e divenisse drammaticamente invalidante – oltre a gettare me e i miei familiari in un prevedibile sconforto, presentavano aspetti anche molto sorprendenti: la tendenza a confondere le persone le une con le altre, a dire cose anche molto sincere e sconvenienti generavano non di rado momenti toccanti, imbarazzanti e – perché no? – anche buffi. Ma l’aspetto più interessante era la progressiva regressione verso il passato: nella sua mente prendevano corpo persone e vicende dimenticate, la cui “presenza” dava luogo a rivelazioni impreviste ed anche sconcertanti.

 

L’episodio centrale di questo film – quello relativo alla fuga al seguito dei militari americani, ed al “regalo” da loro ricevuto – è per l’appunto uno di questi, a cui mio padre aveva accennato in passato, ma che non aveva mai raccontato con la dovizia di particolari concessigli dalla malattia. Dopo un’iniziale resistenza, ho provato ad immaginare una storia che avesse al centro quell’episodio, ma allontanandola da me, da mio padre, e dal mio contesto familiare. L’immaginazione si è nutrita anche della fascinazione del mio nuovo quartiere, Trastevere”. Liberamente ispirato a Poco Più Di Niente di Calamini, e all’esperienza della malattia del padre di Bruni, Tutto Quello Che Vuoi si costruisce sulla relazione tra due figure apparentemente agli antipodi: Alessandro (Andrea Carpenzano), ventiduenne trasteverino, trascorre la propria esistenza, priva di ideali e progetti, in totale conflitto con il padre (Antonio Gerardi) tra canne, videogiochi e bar con i suoi amici Riccardo (Arturo Bruni), Tommi (Emanuele Propizio) e Leo (Riccardo Vitiello); Giorgio (Giuliano Montaldo), poeta ottantacinquenne malato di Alzheimer e ormai dimenticato, è un uomo elegante e forbito che oscilla tra il ricordo e la realtà. 

 

Le complicità che si crea tra i due, con le dovute proporzioni, ci riporta forse a Il Postino, testamento artistico dell’inimitabile Massimo Troisi, e al ruolo della poesia, vera forza curatrice, in grado di redimere l’uomo dall’inettitudine che lo contraddistingue, e ad elevarlo. Bruni riesce a far amalgamare tutte le componenti della pellicola in modo encomiabile, creando così un piacevole romanzo di formazione rivolto per lo più a un pubblico giovane, non ancora in grado di prendere la propria strada. 

La relazione tra Alessandro e Giorgio fa emergere inoltre il tema del conflitto intergenerazionale: la contrapposizione di valori che apparentemente possono sembrare inconciliabili, segnano la necessità di mantenere un continuo rapporto con il passato e con la memoria, vera ancora di salvezza nella vita di tutti gli uomini. 

Infatti, la memoria riecheggia come elemento centrale del film di Bruni attraverso la figura di Giorgio: il ricordo dell’amicizia con i soldati americani durante la Seconda guerra mondiale, morti poi in battaglia, e la scomparsa della moglie, in seguito alla quale ha deciso di smettere di scrivere, generano in lui il bisogno di costruire nuovi rapporti umani che possano sopperire a questa assenza, colmando contemporaneamente il vuoto interiore di Alessandro. 

 

Il film, tuttavia, dimostra una mancanza di quell’ambizione che sarebbe stata in grado di trasformare la pellicola in un piccolo gioiello della cinematografia italiana degli ultimi anni. Bruni sembra quasi accontentarsi attraverso dialoghi a volte eccessivamente semplici e utilizzando mai sequenze narrative ed espedienti tecnici più ricercati; ma essendo Tutto Quello Che Vuoi difatti un inno alla semplicità, in questo caso si può anche chiudere un occhio.

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