Interviste
Edoardo Ferrario e la nuova comicità per ragazzi
Il comico ci ha parlato dei suoi progetti, del suo primo libro e del nuovo spettacolo disponibile su RaiPlay, ma anche di come ha contribuito a svecchiare l'ironia italiana
Serena De Conciliis | 30 giugno 2020

Il comico romano, classe 1987, è stato tra i primi a effettuare un'evoluzione della risata nel nostro Paese, portando in Italia il rinnovamento della comicità con temi e modi della stand up comedy inglese e americana, qualcosa di diverso dal classico stereotipo italiano, che ha subito appassionato i più giovani.

Il pubblico di ragazzi che ti segue è impressionante, quali sono le tematiche che vogliono sentire e quali le differenze rispetto al passato?

Credo che ci sia tanto pubblico giovane che ha voglia di sentire nuovi contenuti. Quando ho iniziato a esibirmi, a scrivere le prime cose una decina d’anni fa, ero molto disturbato perché mi sentivo assolutamente ignorato dalla Tv. I comici parlavano solo di suocere, di traffico, loro che non sapevano usare il cellulare e che erano gli ultimi della classe. Io non avevo una suocera, a scuola ero bravo e il cellulare lo sapevo usare. Volevo parlare ai miei coetanei e fare in modo che si sentissero coinvolti da un comico. Ho notato che ha funzionato perché fin da subito c’è stata tanta risposta. Oggi la stand up è un fenomeno in ascesa in Italia, si assiste anche a una proliferazione dei luoghi dove eseguire le performance, che prima mancavano, e questo è un ottimo segnale.

Qual è stata la sensazione quando Netflix ha deciso di inserire te come primo stand-up comedian italiano sulla sua piattaforma nel 2019, con “Temi Caldi”?

Dopo l’orgoglio c’è stato altro orgoglio e poi c’è stata anche un po’ di paura, perché comunque era una bella responsabilità. Però mi sono sempre fidato della mia passione e della sensazione di aver fatto il massimo che potevo fare. Per me la cosa più importante è sempre il mio pubblico, non voglio deluderlo e so che tutta la fiducia che mi dà deve essere ripagata. Ho pensato che, pur sapendo che sarei stato nella stessa casellina orizzontale insieme a Dave Chappelle e Ricky Gervais, avevo fatto il meglio che potevo fare. Sapere che era andata bene è stata la conferma che il lavoro era stato fatto bene.

“Temi Caldi” e, nel 2014, “Esami - La serie”. Quale dei due progetti pensi sia stata la tua consacrazione presso il pubblico e quale ti ha stimolato maggiormente?

Esami è stata un’esperienza diversa. Volevo fare una web serie perché il pomeriggio all’università vedevo che tutti, anziché studiare in biblioteca, guardavano video su YouTube. Allora ho pensato che sarebbe stata una buona idea parlare dell’università per quello che è. Ho scritto i miei pezzi comici che erano in parte satira universitaria, ma perlopiù satira sociale, che è la mia passione. Ho voluto rappresentare 10 facoltà diverse ed è venuta fuori “Esami”, che è stata effettivamente un gran successo. Ci siamo resi conto da subito che funzionava: se frequentavi la facoltà della quale era appena uscita la puntata, in qualche modo tu avresti visto tutta la serie, perché ti avrebbe colpito come studente.

Il mondo dello spettacolo è stato particolarmente colpito dalla crisi sanitaria. Come hai affrontato questo periodo senza esibizioni?

Avevo delle date in programma che ho dovuto annullarle. Non erano tante, anche se stavo per pianificarne altre. C’è il grande dispiacere di non essermi esibito in città dove sarei andato per la prima volta. Sono molto felice di esibirmi in città dove non sono mai stato, perché è un pubblico nuovo e per me è sempre una grande emozione. Mi sono concentrato su altri progetti: il libro “Siete persone cattive”, che stavo scrivendo da mesi, ma non riuscivo a terminare proprio a causa dei molti impegni, e un programma su cui sto lavorando adesso per RaiPlay. Non ho scritto nuovi pezzi di stand up perché per me è inconcepibile non poterli poi provare con il pubblico. Anche scrivere sul lockdown non era facile. Ancora non ho metabolizzato bene: non so se è una parentesi brutta delle nostre vite della quale ci dimenticheremo presto o se sarà uno stato di allerta che ci accompagnerà ancora per molti mesi.

“Diamoci un tono” è il tuo nuovo spettacolo, disponibile da pochi giorni su RaiPlay. Perché questo titolo? Come riassumeresti lo show?

Questo spettacolo, rispetto al precedente, parla molto più di me. Mi sono sposato, ho fatto una serie di lavori importanti dopo la serie Esami, sono cresciuto sia professionalmente che personalmente. È lo spettacolo della maturità e ho pensato: “cerchiamo di darci un tono”. Il debutto è stato in una serata a Roma con 1600 persone, al Teatro Brancaccio: il titolo mi sembrava calzare a pennello sia per i contenuti che per la forma dello spettacolo. Parla molto dell’avere trent’anni e di cosa significa sposarsi oggi, lavorare come comico, ma anche del mio rapporto con la satira religiosa, con i vaccini e gli anti-vaccinisti e la sensazione terribile che se in questo momento dai alle persone la possibilità di scegliere tra due cose voteranno sempre la peggiore.

Esce anche il tuo primo libro, che si intitola “Siete persone cattive – Storie comiche di mostri italiani”. A quali mostri ti riferisci?

Sono 10 racconti su dei personaggi italiani che in qualche modo sono molto rappresentativi della società italiana in questo momento. Quattro già li conoscete: sono personaggi di Esami (l’assistente di Economia; il professore di filosofia e il professore di storia dell’arte) e Fabrizio Pappagallo, il proprietario della “Pappagalli eventi”. Poi ce ne sono 6 che presento per la prima volta. Non è stato facile, perché è il mio primo libro. Ci ho messo un po’ a trovare lo stile che mi piace. Sono 10 fotografie, 10 persone prese in un momento particolare della propria vita e che sbagliano sempre. A una prima lettura si potrebbe pensare che essi siano le persone cattive del titolo, perché sono in qualche modo arroganti o superficiali, in realtà sono tutti estremamente fragili. La mia scrittura non giudica mai: io scrivo, lascio il giudizio al lettore. Dovrà essere il pubblico a capire se identificarsi nelle persone cattive, perché giudicare questi personaggi con superficialità è un gesto di cattiveria. L’ambiguità del titolo gioca proprio su questo.

Oltre agli spettacoli veri e propri, lavori anche in tv, in radio, sul web. Qual è la tua dimensione preferita?

Io amo la comicità in generale. Ho la fortuna di lavorare in radio, in tv, su internet. Però l’emozione che dà il live non te la dà nient’altro, prima di ogni live pensi: “Ma chi me l’ha fatto fare? Quest’ansia che non passa mai”, però è davvero la cosa più bella. Quando senti le persone ridere, vedi che si sono davvero divertiti e gli hai offerto un’ora intensa di risate: quell’emozione lì non te la regala nessun altro tipo di mezzo. Quindi l’esperienza live è quella che amo di più e quella che mi manca di più in questo momento. Sono fiducioso che presto si ricomincerà, magari in modo graduale, ma i teatri e i locali torneranno a riempirsi.

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