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Elezioni politiche
Il voto del 4 marzo e le incognite del Rosatellum
Il Rosatellum non sembra in grado di garantire alcuna maggioranza capace di governare...
Davide Rimondi | 15 febbraio 2018

Stando alle ultime rivelazioni demoscopiche, il Rosatellum Bis, meglio conosciuto come Rosatellum, non sembra in grado di garantire alcuna maggioranza capace di governare dopo le elezioni politiche del prossimo 4 marzo. Questa legge elettorale, votata lo scorso ottobre da PD, FI, Lega e Alternativa Popolare, infatti, oltre a favorire coalizioni con piccoli partiti, rischia fortemente di creare una situazione di ingovernabilità poiché favorisce un’ulteriore frammentazione del già frastagliato quadro politico italiano. 

La coalizione di centrodestra, comprendente FI, FDI, Lega e la cosiddetta “quarta gamba” di Noi con l’Italia, è accreditata intorno al 37% e secondo le previsioni raggiungerà 284 seggi alla Camera e 140 al Senato, non sufficienti dunque per governare in maniera autonoma. Diverso invece il destino per il M5S che, senza alleanze e con il 28%, conquisterebbe 156 seggi alla Camera e 80 al Senato. Il PD, infine, alleato con Più Europa della Bonino, Insieme dell’ex ministro prodiano Giulio Santagata e Civica Popolare di Beatrice Lorenzin, con il 27,8% di voti stimati otterrebbe 153 seggi alla Camera e 71 al Senato.

In questa fase di instabilità, pertanto, non sembra possibile neanche un governo di larghe intese o di “inciuci”. Il possibile scenario in caso di non raggiungimento di una solida maggioranza all’indomani del voto potrebbe essere un prolungamento del governo Gentiloni, fino a una seconda votazione che, secondo gli osservatori più accorti, potrebbe tenersi entro sei mesi-un anno. Il rischio, quindi, è che il periodo fra le due votazioni sia utilizzato dai partiti per continuare la loro campagna elettorale.

Tornando alle prerogative della legge elettorale, il Rosatellum prevede un sistema misto, valido sia per entrambe le Camere. 232 seggi dei 630 alla Camera, ovvero il 37%, saranno assegnati con collegi uninominali in cui gli esponenti dei vari partiti o coalizioni si sfideranno tra loro per conseguire la maggioranza relativa dei voti (Sistema maggioritario). I restanti 386 seggi, quindi il 61%, verranno assegnati con collegi plurinominali dai listini bloccati (il restante 2% appartiene ai collegi esteri in cui si adotta il proporzionale). Per il Senato, invece, su 315 seggi disponibili 116 saranno scelti con il maggioritario e 192 con il proporzionale.

Il meccanismo è il seguente: sbarrando il simbolo del partito, il voto si estenderà anche al candidato uninominale. Diversa invece è la distribuzione del voto se si decide di sbarrare il candidato uninominale: se il nome del candidato è connesso ad un unico partito, il voto va di conseguenza solo a quel partito (leggi M5S e Liberi e Uguali); se il candidato uninominale è espresso da una coalizione, al contrario, il voto si trasferisce in modo proporzionale a tutti i partiti facenti parte della medesima. Nel caso in cui un partito membro di una coalizione non dovesse riuscire ad ottenere l’1%, il totale dei voti conseguiti sarebbe ripartito non solo ai soggetti della sua coalizione ma a tutti quelli presenti sulla scheda elettorale.

È vietato il voto disgiunto, ovvero votare un candidato uninominale e un partito non appartenente alla coalizione che lo esprime.

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