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Luigi Manconi: "Macerata? La destra strumentalizza il disagio sociale e la sinistra non lo disinnesca"
In che modo il tema dell’immigrazione sta polarizzando l’opinione pubblica del Paese? Quali soluzioni per il futuro possono correggere la miopia di un’intera classe politica? Ne parliamo con il senatore Luigi Manconi (PD)
Alessandro Di Serafino | 5 marzo 2018

Come ritiene stiano gestendo il dopo-Macerata, a livello mediatico e politico, gli esponenti dei principali partiti?

Nessuno ha gestito bene la situazione. Mi hanno sorpreso in particolare le reazioni prevalenti di due partiti: Movimento 5 Stelle e PD. Da parte del leader del M5S e del segretario del PD c’è stata una sostanziale unità nel chiedere di abbassare i toni. Addirittura, da parte di Luigi Di Maio, l’invito a tacere su quei fatti. È un errore gravissimo, perché un conto è non strumentalizzarli, un conto è tacere. È come se negli anni ’70, quando ci sono state terribili manifestazioni del terrorismo rosso e del terrorismo nero, i leader dei partiti avessero detto “shhh, silenzio, guai a parlarne”. Al contrario, allora se ne parlava eccome e, giustamente, si litigava anche. C’era una discussione vera, pure all’interno della stessa sinistra: quando Rossana Rossanda della sinistra radicale disse “nelle Brigate Rosse troviamo tracce della tradizione comunista”, i comunisti del PCI insorsero, protestarono, la denunciarono come provocatrice, poi furono costretti a misurarsi su quei fatti. Non mi interessa dire chi avesse torto e chi ragione, in ogni caso si discuteva animatamente: ci si lacerava, ma si parlava. Si parlava e si deve parlare.

 

Secondo lei, sono più le destre a far leva su un diffuso malcontento popolare, o le sinistre a dover essere imputate di quella “retorica della solidarietà” e “ideologia dei buoni sentimenti” di cui parla?

Le destre hanno la responsabilità di strumentalizzare il disagio sociale, le sinistre di non saperlo disinnescare, mediare, di non saper fare incontrare la fatica della vita quotidiana degli italiani con quella degli stranieri, tutelando allo stesso tempo gli interessi degli uni e degli altri. Tuttavia è naturale individuare nella destra fascista, leghista in particolare, il fatto che c’è stata un’operazione lunga quasi un quarto di secolo, iniziata nei primi anni ’90, che ha visto alcuni soggetti politici tradurre la difficile convivenza tra italiani e stranieri in una moneta elettorale: questa è la gravissima colpa che la destra si è assunta.

 

È giusto dare tanto spazio mediatico a soggetti e gruppi xenofobi di estrema destra, che si sono riferiti più volte alla crisi migratoria in termini propagandistici, razzisti ed erronei?

Deluderò molti, forse anche lei, ma io credo nella libertà di espressione e di parola pressoché incondizionate, quindi non reputo intelligente impedire che si esprimano coloro che portano idee ostili, riprovevoli. Costoro vanno fatti esprimere e vanno combattuti con buone idee. Dunque, se lei mi dice che viene dato troppo spazio sono d’accordo, ma se ipotizza che non lo si debba dare affatto lo ritengo uno sbaglio. Dev’essere dato spazio a CasaPound? Non eccessivo, ma credo di sì. E penso altre due cose altrettanto impopolari. Innanzitutto, non sta tornando il fascismo; è cresciuto semplicemente – ed è grave, sia chiaro – il numero di coloro che oggi si dichiarano fascisti e fino a ieri no, ma non esiste in alcun modo un tale pericolo in Italia. Esiste, questo sì, un enorme problema, quello che io chiamerei – la formula non è mia, ma la faccio mia – la “banalizzazione del male” del fascismo, persino dello stesso nazismo, e ancor peggio quella del razzismo; questo certamente è un problema, dopodiché non penso che ci sia il fascismo alle porte né che l’Italia sia un Paese razzista.

 

Lei diventerà coordinatore dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) dal 24 marzo. Come potrebbe intervenire tale ufficio nel contrastare l’ondata esterofoba?

Al momento sto tentando di orientarmi, spaventato da una macchina particolarmente imponente. Vorrei fare con serietà e, spero, con efficacia ciò che mi è richiesto, cioè promuovere politiche di formazione e d’integrazione. Non vedo il mio come il ruolo di chi tutti i giorni, col ditino alzato, dice “quello è un intollerante, quello fa discriminazioni, quello è un razzista”: mi sembra un ruolo vuoto, declamatorio, che non è utile. Mi interessa molto di più lavorare perché, ad esempio, vi siano politiche intelligenti e razionali a favore dell’integrazione di rom e sinti.

 

Ha giudicato il decreto Minniti “gravissimo e assolutamente non necessario”. Quale alternativa proporrebbe alla linea dura adottata dal ministro?

C’è una questione nazionale, oltre che un’enorme questione europea. In Italia ci sono 7978 comuni, di cui solo 1500 fanno parte dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati): è un sistema che prevede una distribuzione sul territorio dei profughi e la loro aggregazione in piccole unità; è un modo saggio, cioè, di organizzare la loro integrazione nel territorio e nella società italiana. La grande strategia sarebbe quella di passare da 1500 a 2000, da 2000 a 2500 e così via. Il peso dell’immigrazione, che è un peso reale – guai a sottovalutarlo – va distribuito equamente tra tutti i comuni, non concentrato sulle spalle, spesso gracili, di pochi.

 

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