Cinema e Teatro
Ragazzi di talento alla conquista del grande schermo
A qualcuno piace... sciallo
Dopo aver vinto la sezione “Controcampo italiano” al 68° Festival del Cinema di Venezia, il film di Francesco Bruni ci parla di come diverse generazioni possano crescere insieme
Kalliroi | 27 settembre 2011
“Scialla” è il titolo emblematico del nuovo film di Francesco Bruni, sceneggiatore di professione che ha firmato film famosi per il cinema e adattamenti tv e che è alla sua prima prova come regista. Scialla per dire tranquillo, calmo: l’espressione più utilizzata dagli adolescenti romani e non solo è il simbolo di un atteggiamento nei confronti della vita, ma anche la cifra stilistica con cui interpretare la commedia. Il film racconta la storia di un padre e di un figlio che imparano a conoscersi e confrontarsi sui piccoli e grandi problemi della quotidianità; sullo sfondo la scuola, un territorio di prove per entrambe le generazioni, adulti e adolescenti. Ne abbiamo parlato con il regista.
Luca e Bruno, adolescente ribelle e uomo di mezza età: l’incontro generazionale fra i due protagonisti farà crescere entrambi?
«Sì, è indubbiamente un’occasione di crescita per tutti e due. C’è da precisare che all’inizio della storia i due non si conoscono: il padre non sa di aver avuto un figlio e il figlio non sa chi sia suo padre. Successivamente, per alcune vicissitudini i due sono costretti a convivere per sei mesi: a questo punto, però, la situazione si sbilancia perché il padre sa che Luca è suo figlio. Luca invece pensa che Bruno sia un insegnante e tutore che si occupa di lui».
A proposito di insegnanti: oltre ad un confronto fra due generazioni, quindi, nel film viene rappresentato anche un altro contrasto tipico, quello fra docenti e studenti…
«Esatto: il rapporto fra i due protagonisti si fonda soprattutto sullo studio e sulla cultura. Bruno cerca di esercitare la paternità attraverso lo studio. Nello scambio imparano tutti e due qualcosa: il ragazzo impara il valore della cultura e il padre a prendersi la responsabilità di un’altra persona e farsene carico. Luca si caccerà in un guaio serio, di carattere direi semicriminale: il padre, che all’inizio è svogliato, solitario e triste, è costretto a cavarlo d’impiccio mettendosi a rischio in prima persona. È una prova, in cui Bruno tirerà fuori il coraggio di affrontare pericoli per conto di suo figlio. C’è quindi una crescita in tutti e due: l’assunzione di dignità nell’uomo adulto e di responsabilità e maturità da parte del ragazzo».
Nella sinossi del film, Bruno è descritto come un uomo che aveva tirato i remi in barca. Perché? Da cosa è deluso?
«Bruno aveva fatto due rinunce: lui era uno scrittore, ma presto aveva smesso di scrivere per colpa di un blocco creativo. Decide allora di mettere la sua penna a servizio di altri: per vivere fa il ghostwriter e scrive biografie di personaggi molto discutibili come veline e calciatori. Nel film sta scrivendo la biografia di una pornoattrice, interpretata da Barbora Bobulova, reinventatasi produttrice, con cui nasce poi un rapporto speciale. La seconda rinuncia di Bruno è invece l’insegnamento: lascia la sua professione per pigrizia. Lui stesso si definisce distrutto psicologicamente dal lavoro di insegnante, che costa tanta fatica, ma che poco ripaga. Preferisce quindi dare ripetizioni perché “pagano meglio e subito”. In realtà anche questo lavoro lo fa in maniera svogliata: manda via i ragazzi venti minuti prima della fine della lezione, si mette a fare le versioni, insomma, non è nemmeno più un bravo insegnante».
Pigrizia, indolenza: sono solo caratteristiche peculiari del personaggio o c’è dietro una critica nei confronti degli insegnanti di oggi?
«No assolutamente. Per partito preso io sono un gran sostenitore e simpatizzante della categoria, che credo sia bistrattata, dimenticata, sbeffeggiata. Nel film c’è anche un’insegnante positiva, interpretata da Raffaella Lebboroni: è un personaggio chiave nello svolgimento della storia, che affronta il padre e gli mette di fronte i problemi del figlio, lo stimola e gli tira fuori l’orgoglio. In pratica gli fa una lavata di capo, gli fa capire come questo ragazzo sia stato abbandonato a sé stesso e che è arrivato il momento di prendersi delle responsabilità».
Quel che è certo è che quello dell’insegnante è oggi un mestiere sempre più difficile. Com’è cambiata secondo lei la scuola in questi ultimi dieci anni?
«La mia sensazione è che sia cambiata in peggio, nel senso che è rimasta ferma laddove la società si è evoluta. In questi anni non c’è stato nessun tipo di ammodernamento, né investimento sostanziale. Quando i nostri ragazzi fanno un’esperienza di studio all’estero, magari nei licei francesi o inglesi, tornano sbalorditi da quello che hanno visto in termini di modernità. Secondo me la scuola, l’istruzione sono terribilmente sacrificati dal governo di questo paese e hanno fatto diversi passi indietro. In questa situazione di crisi, però, ci sono figure “miracolose” di insegnanti motivati, bravi e aggiornati che svolgono questo mestiere con passione e fanno davvero del bene ai ragazzi. Questi insegnanti sono sempre di meno, perché date le condizioni attuali se una persona è brava e preparata è portata spesso a dire: “Vado da un’altra parte”. È chiaro che se va avanti così la qualità andrà sempre più decadendo».
Torniamo al film: perché il titolo “Scialla”?
«Direi per vari motivi. Prima di tutto perché è una parola che colpisce e si ricorda facilmente; poi perché è un’espressione che mi sento rivolgere in casa dai miei figli almeno 25 volte al giorno, direi che è la parola che sento più spesso! Infine perché la commedia stessa è scialla: è un film con un andamento pacato e calmo, quindi il titolo è una dichiarazione di intenti. Di solito la commedia si associa all’idea di tempi frettolosi, di corsa e invece qui si va più calmi».
Il casting del film per la scelta del ragazzo protagonista è stato fatto anche attraverso Facebook: alla fine lo avete trovato così?
«No, in realtà il protagonista è stata trovato nella più classica delle maniere, è una di quelle storie che quando le racconti sui giornali non ci crede nessuno! Lui è venuto al provino per accompagnare un amico: mentre era lì gli hanno dato alcune battute degli amici del protagonista per far provare un dialogo all’amico. Io l’ho notato subito per lo sguardo dolce e il bel sorriso: poi l’ho richiamato e quindi scelto. Il casting è stato fatto sia tramite Fb sia direttamente in una ventina di licei romani: abbiamo visto 300 persone prima di arrivare alla scelta».
Per lei questa è la sua prima volta da regista dopo una bellissima carriera da sceneggiatore. Com’è stata questa sfida?
«Io ero e sono molto contento anche del lavoro che facevo prima, ho scritto delle cose di cui sono orgoglioso e ho avuto collaborazioni soddisfacenti con diversi registi. Per la prima volta mi è stata data carta bianca per la scrittura di un copione, sia sul tema sia perché non era destinato a nessun regista in particolare. In pratica mi hanno detto: scrivi la commedia che vorresti scrivere! Potete immaginare che quindi avendo totale libertà mi sono messo a scrivere qualcosa che mi sarebbe piaciuto anche girare. E alla fine è andata esattamente così: il produttore mi ha detto che potevo girarlo io stesso. Ho accettato subito: è stata un’esperienza piacevole e semplice pur essendo un esordio, insomma è andato tutto sciallo!».
Tra i registi con cui ha collaborato non possiamo non citare Virzì…
«Paolo è un mio amico da una vita, quindi è come se parlassi di mio fratello. La nostra è una bellissima storia di amicizia che è diventata anche di collaborazione professionale. Con questo film lui non c’entra, ma mi ha sostenuto e mi ha dato consigli durante le diverse fasi di montaggio. Continuo a scrivere per lui e continuerò a farlo spero a lungo. La nostra è una storia emblematica di come certe relazioni si possano portare avanti tutta una vita».
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