Umbria
Quarantena, lettera a me stessa
Chi ero, chi sono e chi sarà grazie alla pademia
Liliana Pallah | 4 giugno 2020

Ieri

Mi sono resa conto che non ti conoscevo così bene prima della diffusione del virus. Avevi i miei stessi interessi, le stesse persone intorno, la stessa personalità di adesso, ma non riuscivi a capirti fino in fondo e credevi che la tua persona fosse soltanto una conseguenza di determinati eventi accaduti nella tua vita. E forse è così, ma tu ci credevi strenuamente, come se fosse un mantra che dovevi ripetere almeno una volta al giorno: “Non ho bisogno di conoscermi, mi basta sapere che quello che ho lo manterrò tale nel mio futuro”.

I tuoi interessi li consideravi qualcosa per riempire la giornata. Come dice il tuo rapper preferito, Marracash: “Riempio il tempo ma non colmo il vuoto”. Era effettivamente così: non davi un vero e proprio significato a quello che facevi, bastava che in qualche modo il tempo trascorresse e l’utilità di quelle azioni sarebbe passata in secondo piano. Eri felice perfino di fare qualcosa che non ti piaceva pur di dire a te stessa che non saresti rimasta a fare “nulla” per tutto il giorno.

Che poi, cosa significa non fare “nulla”? Ti confesso che il significato di quel termine così spaventoso l’avresti scoperto soltanto in quarantena: prima non saresti riuscita a comprenderlo.

Eri influenzata dalla società: credevi a cose futili, inutili, considerate importanti ma che sono prive di significato. Dicevi agli altri che non ha senso pensarci, ma allo stesso tempo non riuscivi ad ammettere a te stessa che ne eri abbagliata come se i tuoi occhi fossero stati sostituiti da quelli del “grande fratello”: un occhio che guarda, che prova a ignorare, ma che non riesce a staccarsi dallo “schermo”.

E le persone a cui tieni tanto? Mi dispiace ammetterlo, so che amavi averle accanto a te e continui a sapere che nonostante tutto ci sono, ma in qualche modo, nel tuo inconscio, non volevi dar loro una completa fiducia. Non potevi pensare che determinate persone, quando entrano nella tua vita te la sconvolgono, te la cambiano, alcune in meglio e altre in peggio. Avevi un pensiero contraddittorio: credevi all’amicizia, ma non le davi un’importanza concreta. Il significato lo coglievi, lo apprezzavi, amavi quella particolare intesa, ma ora ti sei resa conto che la consideravi astratta, sfumata. E soprattutto, quando eri veramente disposta a ritagliare il tuo tempo per loro e con loro, non riuscivi a non pensare di “condividere” quei momenti sui social, come se fosse fondamentale, come se agli altri dovesse importare effettivamente di tutti gli aspetti della mia vita. Ti sentivi giudicata ma non ne potevi fare a meno.

E non riuscivi a cogliere il momento, solo a immortalarlo.

Oggi

Come hai fatto a cambiare così tanto in così poco tempo “soltanto” grazie a un virus? Me lo chiedo ancora, ma non sono l’unica. “Al principio di speranza contrapponiamo il principio responsabilità e non il principio paura”, lo ha detto Jonas nella sua etica della responsabilità e non pensavi che qualcosa studiato per la scuola potesse essere così incredibilmente attuale.

La tua reazione all’inizio della quarantena era piuttosto indifferente: pensavi che sarebbe finita presto e che saremmo tornati alla normalità come se niente fosse. Dio, quanto ti sbagliavi.

I giorni passavano lentamente, come una folata di vento che in quel momento non percepivi.. Quando vi erano le prime videolezioni ne sei rimasta scioccata: non potevi pensare che questo virus avrebbe gravato su ciò in cui impiegavi la maggior parte del tuo tempo: la scuola. “Sono inutili. Sono sicura che potrebbero trovare un’altra soluzione o semplicemente non fare nulla perché tanto passerà tutto”, ti dicevi.

Poi la prima settimana di quarantena era passata. Ti ricordi particolarmente bene di quel preciso momento in cui ti eri fermata, avevi girato la sedia verso la finestra, e ti sei fermata a fissarla per chissà quanto tempo. Non guardavi in un punto preciso, bensì fissavi il vuoto. E lentamente, ti eri resa conto che ti faceva paura. Quella sensazione di paura strana, che non avevi mai provato prima, che si contrapponeva a qualcos’altro che non sei mai riuscita a definire. Così coglievi quel silenzio, ti intrappolavi in esso e non riuscivi ad uscirne per tua semplice volontà. Era come se ti avesse afferrata per le braccia e tu non avessi voluto evadere. Come se ti sentissi al sicuro.

“Non permettere che la paura distolga dall’agire, ma piuttosto sentirsi responsabili in anticipo per l’ignoto costituisce, davanti all’incertezza finale della speranza, proprio una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il “coraggio della responsabilità”, continua Jonas.

La seconda settimana il telegiornale recitava: “Le vittime e i contagi salgono, le restrizioni saranno di maggior impatto.” Praticamente la quarantena, ormai, era definitiva. Era da quel momento che ti sei resa conto che questo fatto avrebbe stravolto la tua vita. Era da quel momento che avresti compreso il significato del non fare “nulla”.

Qualcuno, forse un saggio, diceva che la noia portava sempre a una produttività maggiore. La me stessa del passato non ci avrebbe mai creduto: affermava che come conseguenza della noia c’era sempre il colmarla con passatempi inutili, come stare al telefono. Questa quarantena ha affermato il contrario: quando ti trovavi a fissare il vuoto, il “nulla”, per l’appunto, l’ispirazione aumentava inspiegabilmente. Come se fossi costretta sì, a colmarla, ma in maniera tale che alla fine ne saresti rimasta soddisfatta. Così hai fatto cose che non pensavi nemmeno di riuscire a fare prima. Hai riscoperto passatempi che reputavi senza un punto e a capo ma che si sono rivelati parte fondamentale per la formazione della tua persona.

Anche il semplice sentire le altre persone e percepirle è stata una riscoperta. All’inizio non ne sentivi la mancanza, pensavi che almeno in questa quarantena saresti bastata a te stessa. Ma ti sei resa conto che non è affatto così. Così, ben presto avevi sentito il bisogno di sapere che ti erano accanto anche in questo momento così difficile. Ma non quel bisogno disperato che possiede qualcuno che si sente solo, bensì quel bisogno di sapere che anche loro sono nella tua stessa situazione e che ci sosteniamo a vicenda nonostante tutto. Anche il dire cose stupide in videochiamata è diventato fondamentale. Ti fa sentire a casa e ti fa sentire al sicuro. E soprattutto, hai riscoperto quel significato concreto che all’inizio non davi all’amicizia, che quell’intesa umana che abbiamo tutti è necessaria per il nostro sostentamento e per vivere su questa Terra, non solo per sopravvivere.

Hai dato un nome all’amore, che prima consideravi solo un tripudio di emozioni. Hai capito che l’amore è tutt’altro: è sicurezza, è assicurarsi che quella persona stia bene, sia felice, e sentirla con te anche se fisicamente non lo è. Il tuo ragazzo l’aveva compreso benissimo anche prima, ma non capivi perché diceva quelle cose con così tanta sicurezza. Pensavi che erano cose “da fidanzati”, che dovevi dire perché state insieme. Ma grazie alla mancanza che provi per lui, e alle videochiamate che vi siete promessi di fare costantemente solo per avere la conferma che l’altro sta bene, hai dato un significato reale al “ti amo” e al “voglio stare con te”. Non è un bisogno, ma un sentimento. Non è un’emozione, ma una sostanza inspiegabile. Un’aura che ci pervade e che ci tiene insieme anche se distanti. Hai capito che non devi cercare una spiegazione: lo senti e basta. Quelle videochiamate in cui ridiamo, parliamo e ci fissiamo senza un apparente motivo ne sono parte della dimostrazione.

E la famiglia? Quante litigate facevi con tua madre perché entrambe pretendevate di avere ragione su argomenti stupidi. E quanto affermavi la tua ribellione, il tuo volere la libertà quando tuo padre non ti permetteva di uscire la sera.

Ora guardi questi aspetti come se fossi cresciuta, come se fossi già anziana. Chiaramente credi ancora in certe cose diversamente da come la pensano i tuoi genitori, ma è come se le guardassi sotto un occhio più maturo e più consapevole. Sai che loro vogliono il tuo bene e quando è necessario mettono in atto restrizioni che servono a determinare la tua crescita e il tuo stare nella società. Per non parlare della loro compagnia che in questo periodo senti più vicina, in cui ti rendi conto che è la prima cosa a cui penserai per tutta la vita, e che li ringrazierai per tutto ciò che hanno fatto per te e per la persona che ti hanno fatta diventare. Costantemente.

Ora ci consideriamo tutti uguali di fronte al virus. Prima ci distinguevamo tra “poveri”, “ricchi”, di diverse attitudini ed etnie. Ma ci stiamo rendendo conto che il virus non guarda in faccia a nessuno, e stiamo imparando ad essere più uniti dal punto di vista umano. Parte della comunità.

“Quando parliamo della paura che per natura fa parte della responsabilità, non intendiamo la paura che dissuade all’azione, ma quella che esorta a compierla”, Jonas e le sue parole continuano a risuonarti nelle orecchie.

La paura ci ha resi più responsabili, più consapevoli. Ci ha resi disposti ad andare incontro all’altro.

Perché ci è servito un virus per aprire gli occhi? Non lo sapremo mai, perché siamo umani.

Domani

Quando finirà tutto questo sarai pronta ad aprire le porte di casa tua e a correre, anche senza meta ti andrà bene. Non vedrai l’ora di rivedere quelle persone che ti erano mancate tanto durante la reclusione, non vedrai l’ora di abbracciarle e piangere insieme a loro perché vi siete riviste, e tutto è ormai superato.

E’ vero, tutto tornerà alla normalità, come prima, ma sarai consapevole che qualcosa sarà cambiato in te. Innanzitutto l’abitudine di essere rimasta sola con te stessa così tanto tempo ti avrà fatto analizzare ogni parte di te, ogni aspetto di te che avevi tralasciato.

“Ho tanti difetti, ma ho imparato ad accettarli”, ti sei detta, e l’hai ammesso. La sicurezza di restare a casa, il comfort che ti pervadeva ogni giorno scomparirà. Tornerà lo “stress” delle situazioni quotidiane. Ma la cosa che cambierà è che apprezzerai perfino quello. Ti dirai che ti mancava quella sensazione di preoccupazione perché saprai che se non ci fosse stata, non ti saresti fatta piacere le piccole cose.

Anche una carezza ti sembrerà importante, forse la più bella in assoluto. Saprai che questa esperienza ti segnerà la vita in un futuro e guarderai con il sorriso anche le situazioni apparentemente spiacevoli. Non saprai quanto durerà questa sensazione, ma saprai senz’altro che non ti abbandonerà.

Il mondo ripartirà, la società ridetterà i suoi canoni. Ma tu ti renderai finalmente conto che avrà poca importanza. Sarai sicura che succederà? Certo che no. E’ questo il bello della vita: non sapere cosa succederà in un prossimo futuro, anche tra pochi minuti. Ma sarai sicura, Liliana, che il mondo si trasformerà? Certo che sì. Lo fa costantemente.

 

 

 

 

 

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