“State distruggendo il nostro futuro”. Dall’Australia all’Europa, passando per Uganda, Giappone e India, centinaia di migliaia di giovani del mondo intero hanno aderito allo sciopero per il clima, scegliendo di saltare le lezioni a scuola per chiedere ai politici di agire davvero contro il cambiamento climatico. Le proteste seguono le orme di Greta Thunberg, la 16enne svedese diventata icona del movimento dei giovani per il clima da quando ha lanciato il suo sciopero settimanale dalla scuola: per mesi, tutti i venerdì ha portato davanti al Parlamento di Stoccolma un cartello con la scritta ‘Sciopero della scuola per il Clima’; a poco a poco la protesta si è estesa a macchia d’olio ad altri Paesi, portando settimanalmente in strada migliaia di studenti per esempio in Belgio e in Germania. Secondo il sito del movimento ‘FridaysforFuture’ erano oltre 2mila gli appuntamenti in programma per questo venerdì di sciopero globale: in testa per numero di eventi organizzati Italia, Francia e Germania. Greta Thunberg ha twittato foto di cortei in Giappone, a Helsinki a Venezia, in Lussemburgo o ancora nell’arcipelago di Vanuatu. Il che rende l’idea di come la protesta abbia invaso le strade di ogni angolo del pianeta: da Nuova Delhi a Sydney (dove gli studenti hanno evidenziato in particolare i rischi per la barriera corallina), da Kampala in Uganda alle Mauritius, nonché a Bangkok e Hong Kong.
Ciò che mi ha fatto maggiormente impressione, nell’ambito della manifestazione odierna in difesa del pianeta e contro i cambiamenti climatici (“Fridays for future”), è stato il luogo: evocativo, emblematico, signigificativo come poche altre piazze nel nostro Paese sanno essere. Piazza Venezia e dintorni, infatti, ottant’anni fa voleva dire fascismo, e per tutta la manifestazione, svoltasi stamane in piazza della Madonna di Loreto, di fronte all’Altare della Patria e al drammatico balcone del Duce, il mio sguardo è andato proprio lì, nel luogo simbolo dell’abisso e della guerra. Oggi, invece, quella stessa piazza, le vie adiacenti e un’intera zona che a lungo abbiamo considerato l’internet del male si è riempita di voci, suoni, colori, slogan positivi, critici e propositivi. Insomma, si è riempita di vita di giovani, di prospettive, di magnifiche ambizioni collettive.
“Ci avete rotto i polmoni” era uno degli slogan più azzeccati. E ancora, irridendo il celebre motto trumpiano: “Make the world Greta again”. Senza dimenticare l’invito a considerare che “There is not a Planet B”, non esiste un pianeta di riserva. E poi la maturità, la consapevolezza, la saggezza sorprendente e meravigliosa di questi ragazzi. Bastava parlare con alcuni di essi per rendersi conto che non erano lì solo per divertirsi o per perdere un giorno di scuola ma che sapevano bene di cosa stessero parlando. “Noi con Greta salviamo il pianeta” era un altro degli slogan ricorrenti, a dimostrazione della stima e dell’affetto di questi giovani nei confronti dell’ativista svedese Greta Thunberg, recentemente candidata al Nobel per la Pace e animatrice di questo movimento mondiale di protesta per il clima che Carlin Petrini, fondatore di Slow Food e Terra Madre, non ha esitato a paragonare a un nuovo Sessantotto. “Undici anni: questo ci rimane. Se non agiamo adesso, il pianeta poi scompare” scandivano, a dimostrazione che questi ragazzi leggono, seguono i report delle Nazioni Unite, ci mettono passione, impegno, coraggio.
Ho notato che qualche collega si è divertito a intervistare i meno colti, i meno preparati, i pochi che stavano lì solo per vedere che succede o per fare un po’ di chiasso: lo reputo un pessimo modo di intendere la nostra professione e un insulto alla dignità di una battaglia che va ben al di là di una generazione, dato che la salvezza della Terra riguarda tutti noi e che la stessa Thunberg non ha mai detto di potercela fare da sola o che la sua generazione sarebbe stata in grado di salvare il pianeta bensì l’esatto opposto, ossia che non c’è più tempo, che bisogna agire subito e che devono essere gli adulti a rendersi conto che la casa sta bruciando e che o si interviene drasticamente nei prossimi dieci anni oppure saranno guai enormi per tutti. Una generazione civile, pulita coerente e cosciente delle sfide globali che la attendono: a questo abbiamo assistito, a Roma, in Italia e nel resto d’Europa e del mondo. Non è stato un partito o un sindacato a mobilitarli ma una missione civile planetaria. Il che spiega molte cose, la dice lunga su come ragionano questi ragazzi, ci racconta le loro storie, i loro sogni e le loro speranze.
Ci lascia intendere che per muovere questa massa enorme di passione ed entusiasmo urgono grandi battaglie globali perché questa generazione non si mobilita più su temi interni ma si considera, a ragione, cittadina del mondo. Ora, sta alla politica, e in particolare alla sinistra, trovare la parole, i linguaggi, i contenitori e le personalità adatte a offrire rappresentanza a questo e ai mille altri mondi che si sono attivati negli ultimi mesi. E non si tratta di calare dall’alto qualche divo ma di cercare proprio in quelle piazze i rappresentanti e i punti di riferimento del domani, i futuri parlamentari, le Greta Thunberg e le Alexandria Ocasio-Cortez di casa nostra. Perché, in fondo, né Greta né Alexandria hanno compiuto niente di speciale: hanno solo detto basta al momento opportuno, trovando il coraggio di parlare al posto dei troppi che, purtroppo, hanno taciuto.