Attualità
La storia di Lorenzo Mollicone, reporter di Scomodo sulla Thousand Madleens to Gaza
Lorenzo Mollicone racconta il suo viaggio su una delle barche dirette a Gaza per rompere il blocco navale israeliano
Asia Vicentino, Maddalenza Nunzi, Tommaso Puggioni | 4 novembre 2025
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C'è chi ha osservato in silenzio il genocidio di Gaza dalla propria casa calda e chi, come Lorenzo e il resto delle persone a bordo delle navi dirette a Gaza, ha deciso di imbarcarsi per non rimanere indifferente.

Cosa ti ha spinto a partite e a continuare il viaggio?

La prima cosa, la più ovvia: l’adesione sentita alla causa palestinese. Poi devo dire che in me c’era già una spinta all’attivismo e un desiderio di mobilitazione geografica. E infine la vocazione giornalistica e l’appoggio di Scomodo. Cosa mi ha spinto a non arrendermi? Il supporto che avevamo da terra: sia dalle piazze d’Europa sia dalla popolazione di Gaza, con cui avevamo contatti diretti e che contava sul nostro aiuto.

In cosa il vostro aiuto voleva essere diverso rispetto a quelli istituzionali dei governi?

Sia i nostri aiuti che quelli istituzionali lanciati con i paracaduti erano evidentemente insufficienti a sostenere una popolazione sotto carestia. Siamo sempre stati perfettamente coscienti del fatto che anche la nostra missione non sarebbe stata risolutiva. La differenza è che il nostro scopo era quello di rompere il blocco navale per consentire l’arrivo di aiuti via mare.

Qual è stato il contributo delle piazze e degli scioperi per la missione della Flottilla?

Penso che sia stato decisivo per portare gli Stati a trattare veramente il cessate il fuoco, anche se i leader non lo ammettono. Il coinvolgimento popolare è stato veramente molto forte anche se comunque alla fine le istituzioni non sono intervenute per garantirci il passaggio fino alle acque palestinesi. La cosa ironica è che al porto di Augusta, la Guardia Costiera ci ha dato l’ok a partire con destinazione Gaza, ma poi non hanno fatto nulla per tutelarci. L'unico supporto ricevuto è stato una nave della Marina Militare greca che per tutto il tragitto a sud di Creta ci ha scortato. Poi però superata l'area di Creta siamo rimasti di nuovo da soli.

Ci racconti gli aspetti più pratici della spedizione?

Prima di partire abbiamo vissuto una bellissima formazione per affrontare al meglio il viaggio sia psicologicamente che praticamente, ma anche per conoscerci. Tutto il gruppo aveva tra i 25 e i 35 anni e le dinamiche erano tutte improntate alla non violenza, alla non prevaricazione e a processi decisionali orizzontali. Ci sono stati momenti faticosi soprattutto per chi soffriva il mare ma anche a livello psicologico. Però il mare non è stato sempre mosso, il vento non è stato sempre forte e personalmente devo dire che è stato un viaggio davvero bellissimo. Sarei stato felice anche di farmi il ritorno a missione completata!

Che risposta ha dato la Flottilla ma anche le piazze a chi parla di generazione apatica?

Penso che l’apatia sia un problema centrale nella nostra società ed è forse la cosa più brutta che una persona possa provare. Anch’io ci sono passato e posso dirti che è ho preferito la detenzione all’apatia, perché la considero la più grande privazione della propria libertà. Il supporto che ci siamo dati durante la detenzione è stato così potente da permettermi di uscire da questa esperienza senza traumi. Questa unione tra persone è la più bella risposta al sentimento di apatia. C’è chi ha tutto nella vita ma resta chiuso, isolato e depresso. Invece mettersi in gioco è la cosa migliore da fare.

Hai mai avuto veramente paura?

No, sono stato fortunato e riconosco di aver ricevuto un trattamento privilegiato. Forse per la nazionalità, forse per il genere sessuale, forse per il fatto che ho firmato subito il foglio di espulsione.

Cosa ne pensi della narrazione che è stata fatta della Flottilla?

Su questo è stata molto chiara Greta Thunberg, che ha lasciato la nave principale ed è andata su una delle barche a vela normali per ricentrare la narrazione della missione togliendole ogni autoreferenzialità. Non è che siamo stati la flotta più grande e potente della storia; anzi: non siamo neppure riusciti ad arrivare quindi sono contrario a narrazioni eccessivamente enfatizzate.

E la narrazione delle proteste ti ha convinto?

È naturale che parti diverse abbiano racconti diversi. Non lo vedo come un problema perché ognuno è libero di fare la narrazione che vuole, attenendosi alla realtà.

Hai mai pensato di arrivare veramente a Gaza?

Lo sognavo, pregando Madre Natura di mandarci una tempesta che ci consentisse di arrivare. Ci mancava un solo giorno di navigazione per arrivare e quando ci sono venuti a prendere in mare alle 5 di mattina e ho visto le navi militari intorno, senza alcun segnale di allarme, per un attimo ho sperato che i nostri paesi ci avessero mandato navi militari in soccorso. Invece ci avevano tagliato le comunicazioni e dopo 30 secondi ho realizzato.

Lo rifaresti?

Sì. La Sumud Flottilla ha vissuto una situazione decisamente più estrema e maltrattamenti a volte agghiaccianti rispetto alla Thousand Madleens, ma la nostra spedizione è stata meno colpita durante il tragitto e una volta imprigionati. Lo rifarei, per tutte le volte che sia necessario.

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