Cinema e Teatro
E tu ci credi in Io?
In Io c’è, lo ionismo è la ricetta contro la crisi: niente dogmi, solo suggerimenti
Asia Nocco | 9 maggio 2018

“Tu sei il tuo Dio!” “Noi siamo il nostro Dio!”

Io c’è è una bella commedia all’italiana, cento minuti in cui si sviluppa un percorso narrativo ben costruito ma sicuramente non scevro di impedimenti: costante è il pericolo di inciampare nelle tediose buche del mainstream, ma consolidata è la capacità di saperle aggirare. Alessandro Aronadio, regista romano dal background internazionale, questa volta si affida a un cast di volti molto noti al pubblico italiano: Edoardo Leo e Margherita Buy sono Massimo e Adriana Alberti, fratelli e proprietari di un lussuoso bed & breakfast nel centro di Roma. La sopravvivenza dell’attività è però minacciata dalla crisi economica ed è proprio allora che a Massimo viene un’idea: ispirato da un gruppo di suore dirimpettaie e dal successo inaspettato che il loro b&b continua a mantenere, decide di fondare una nuova religione, lo ionismo. Questo gli permetterà di non pagare alcuna tassa e riavviare l’attività, trasformandola in un vero e proprio luogo di culto. Lo ionismo è un “mix di buon gusto” di tante fedi: un credo religioso che ha il tratto rivoluzionario di non imporsi sui fedeli attraverso dogmi, proponendo invece dei semplici “suggerimenti”. Sebbene non sia stato lasciato molto spazio all’azione dei personaggi, che risultano abbastanza statici e ripetitivi sulla scena, lo sviluppo introspettivo di questi ultimi risulta completo e soddisfacente. Il Massimo cinico e calcolatore dei primi venti minuti diventa sempre più consapevole delle proprie azioni, fino a provare un profondo senso di colpa per aver illuso un numero così alto di persone. Margherita, all’inizio titubante nei confronti del progetto del fratello, verso la fine del film è quella che ne appare più convinta e forse l’unica seriamente intenzionata a proseguire. Io c’è non si propone di giudicare la religione e il fedele: il film sembra invece porsi l’ambizioso obiettivo di analizzare quei difficili meccanismi che portano l’uomo a credere nell’irrazionale, nel sacro, nell’inspiegabile, attraverso l’apprezzabile filtro dell’imparzialità. Tra una battuta più o meno riuscita e l’altra si scorgono degli spunti di riflessione non banali e assolutamente inaspettati per il genere. Dal tema della religione, chiave di volta dell’intero progetto, il film assume gradualmente i connotati di una satira intelligente e talvolta amara sulla società odierna, convincente nell’affrontare attraverso il potente mezzo della risata anche temi di una certa complessità.

 

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