Le radici di una protesta: il rap nelle piazze americane
Negli Stati Uniti, il rap è nato come voce di protesta e strumento politico, e alcune manifestazioni storiche lo hanno reso protagonista delle lotte sociali. Tra queste, la Million Man March del 1995 a Washington fu un momento cruciale: un raduno organizzato da Louis Farrakhan per riaffermare l’orgoglio e la responsabilità della comunità afroamericana. Sul palco si alternarono figure simboliche come Public Enemy, Ice Cube e KRS-One, che trasformarono la loro musica in parola d’ordine di resistenza. Ancor prima, i block party del Bronx degli anni Settanta erano già atti politici inconsapevoli: spazi di libertà nei ghetti devastati dalle politiche di segregazione e dall’abbandono istituzionale. Negli anni successivi, marce come quella per Black Lives Matter ripresero quell’eredità: brani come Alright di Kendrick Lamar o FDT di YG e Nipsey Hussle diventarono inni di piazza, confermando che il rap non era solo intrattenimento, ma un linguaggio collettivo di lotta e identità.
Il silenzio del rap italiano
In Italia la scena mainstream ha fatto scena muta: pochissimi hanno dedicato versi o prese di posizione dirette, segno di un’industria sempre più distante dal terreno politico. Anche il ruolo di Ghali, che ha esplicitamente criticato tutti i rapper che non si schierino apertamente per il popolo Palestinese, si è rivelato più intrattenimento che lotta ideologica. Ci ha pensato Fedez a ricordargli che solo qualche anno fa era testimonial di McDonald’s, catena considerata vicina a Israele. Anche l’unico tentativo di ribellione tra i big si è dunque ridotto a dissing d’intrattenimento, lasciando l’argomento in mano ai pochi rapper indipendenti.
Il rap tra le banlieue francesi e le macerie di Gaza
In Francia, il rap si è confermato una delle forze culturali più impegnate sul fronte palestinese. Artisti come Médine, La Fouine e Rim’K hanno espresso apertamente solidarietà a Gaza, intrecciando la questione palestinese con la storia delle banlieue, dove identità, emarginazione e memoria coloniale si mescolano. Già nel 2014, durante l’offensiva israeliana, diversi rapper avevano partecipato a manifestazioni e pubblicato brani di denuncia; nel 2023 la mobilitazione è tornata forte, con concerti-benefit, post virali e testi che parlano di ingiustizia e resistenza.




