Scuola
La felice nostalgia dell’ultimo giorno di scuola
A un passo dall’esame di maturità, le riflessioni di Andrea Satta del liceo Luciano Manara di Roma
Andrea Satta | 11 giugno 2018

Comprendiamo il valore delle cose solo quando le perdiamo. Questo è, forse, quanto di più saggio ho imparato in questi ultimi giorni di Liceo.

Ciò che voglio dire è che la vita è un miscuglio imprevedibile di casualità, una pioggia di atomi indistinguibili pronti a scontrarsi e creare mondi inconfondibili. E ho anche capito che è proprio questo quanto di più bello è insito nella vita stessa. Siamo continuamente catapultati in universi nuovi, siamo costantemente inseriti in realtà che all’inizio ci sembrano aliene, e che poi vorremmo non finissero mai. È un continuo panta rei che non ci permette mai di trovare un attimo di riposo, un continuo superamento di ostacoli che non ci lascia neppure il tempo di voltarci indietro e ripercorrere i nostri passi. Eppure ogni ostacolo lo facciamo nostro. Presto quel casuale insieme di ragazzi uniti sotto il nome di classe da serie diventa gruppo. Poi la vita ci dissolve nuovamente, da molecole ci ritrasforma in atomi, pronti a creare nuovi legami.

Un salto difficile da accettare, però, dopo cinque anni. Ripensare a quando salii su questa grande nave insieme a degli sconosciuti, che presto avrei reso parte di me come loro avrebbero reso me parte di loro, mi fa venire i brividi. Ormai il dado è tratto, la vita ci ha alienato. E non sono certo quello che dirà che continueremo a vederci come prima, che non cambierà nulla. Perché non è così, ed è inevitabile che non lo sia. A un certo punto ci si sveglia, il sogno è finito, ed è inutile illudersi di poter continuare a sognare da svegli.

Vorrei rimettermi a dormire, vorrei come per magia svegliarmi e rivedere allo specchio un quartino spaesato, ma non posso. Percepisco il peso dei ricordi che mi schiaccia come un macigno, sento un senso di vuoto che mi riempie l’anima. Una felice nostalgia. Pur sempre felice, ma pur sempre nostalgia. Una porta si è chiusa e non si riaprirà più. Posso sbirciare dalla serratura, se voglio, ma ormai ne sono fuori. Così mi sento dentro e fuori, smanioso di trovare la chiave che mi riporti indietro, e consapevole che una simile chiave non esiste. E dunque, a malincuore, prendo consapevolezza di questo cambiamento. Avrò tempo per accettarlo, ora non ne sono in grado.

Non dimenticherò mai le emozioni dell’ultimo giorno di scuola. È uno di quei giorni che aspetti tutto l’anno e, quando arriva, vorresti non fosse mai arrivato. È uno di quei giorni che vorresti rivivere ogni giorno, o quantomeno un’altra volta, solo una. È uno di quei giorni per cui vale la pena attendere cinque anni, è uno di quei giorni in cui cogli la vita in tutta la sua tragica bellezza e comprendi davvero l’inestimabile valore di cose a cui prima non davi troppo peso e di cui solo ora, vedendotele sottratte da un giorno all’altro, riesci a scorgere l’importanza. Comprendi il valore della vita, delle amicizie, del tempo, dei piccoli gesti quotidiani, dell’affetto di un professore verso uno studente, di uno studente verso un professore. Tutte le cose, come per miracolo, sembrano trovare la loro collocazione ideale. Eppure è un giorno indimenticabile proprio perché unico. Accade una sola volta, ed è qualcosa che porterò nel mio zainetto per sempre, ovunque sia diretto.

Ricorderò per sempre questi anni, per sempre li rimpiangerò. Rimpiangerò ogni sorriso, ogni lacrima, ogni gioia, ogni dolore, ogni attimo, ogni istante condiviso, ogni viaggio, ogni pizza, ogni nottata, ogni interrogazione, ogni ora passata invano ad aspettare il bus. Perché sono consapevole che un gruppo come il nostro è qualcosa di più unico che raro e che, nella mia vita, forse non troverò più qualcosa di simile. Sapere quanto di vero e di genuino scorre fra ventitrè ragazzi uniti dal destino è ciò che più di ogni altra cosa mi rende orgoglioso di essere stato parte di questo gruppo, ed è proprio per questo che non riesco ad accettare la fine di tutto ciò. Sapere che da domani non saremo più compagni di classe mi lascia un pesante senso di amarezza, sapere che la quotidiana realtà scolastica non sarà più una costante della mia vita una profonda lacerazione.

Aldilà di tutto, è comunque sempre bene vedere la luce alla fine del tunnel. La vita ha diviso i nostri corpi, è vero. Ma l’anima è indivisibile, l’anima non può essere spezzata da nulla e da nessuno, e ciò che contiene è per sempre. Magari non ci rivedremo, magari ci rivedremo qualche volta, poco importa. Ciò che per me conta davvero è che resteremo sempre uniti, qui dentro.

Questo gruppo continuerà a convivere negli attimi indelebili. Nei ricordi, in una vecchia foto di classe un po’ sbiadita, resterà per sempre l’immagine di un sogno troppo bello per essere interrotto, ma forse reso così bello proprio dal risveglio e dal ritorno alla realtà. In ogni caso, assieme alla nostalgia, riguardando certe foto emerge soprattutto la commozione di fronte ad alcuni dei momenti più toccanti che abbia mai vissuto e ad alcune delle migliori persone che abbia conosciuto. Studenti, professori, tutti. Persone a cui vorresti trasmettere tutto questo ma sei consapevole di non esserne in grado. Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe. Io stesso mi rendo conto che in questo scritto emerge forse solo la punta dell’iceberg di quanto si muove dentro di me e di quanto vorrei cercare di dire, ma vi assicuro che ce l’ho messa tutta per provare a dirvi ciò che provo.

Ricorderò per sempre ventitrè ragazzi oltre tutto e oltre tutti, consapevoli solo loro di quanto di bello scorre fra loro. Ricorderò per sempre ventitrè ragazzi saliti per caso sulla stessa nave e partiti per un lungo viaggio. Ricorderò per sempre ventitrè ragazzi che avrebbero voluto arrestare il tempo e restarci ancora un po’, su quella nave. Siamo piccoli pezzi di un grande organismo, incessantemente nutriti dal sangue pompato da un unico grande cuore che ci accomunerà sempre e comunque.

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