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Laura Pellicoro, cosa significa vincere le Universiadi
Da Besana Brianza al doppio oro alle Universiadi in Cina, passando per il percorso di studi negli States e il sogno Parigi 2024. Laura Pellicoro si racconta a Zainet
Luca Bianchi | 8 settembre 2023

PellicORO - Chengdu, 7 Agosto 2023: Laura Pellicoro trionfa nella finale dei 1500 metri, avendo la meglio negli ultimi 500 metri sulla lussemburghese Vera Hoffmann, quattro giorni dopo l’incredibile ed inaspettato oro negli 800 metri. Si è laureata regina del mezzofondo della competizione, diventando la terza italiana all-time (Paola Pigni nel 1973 e Gabriella Dorio a Bucarest nel 1981 e 1983) a vincere l’oro nei 1500 metri alle Universiadi, ma soprattutto la prima azzurra a prendersi una medaglia negli 800. Brianzola, classe 2002, Laura si allena e studia biologia a Portland, con l’obiettivo di laurearsi e, contemporaneamente, continuare a migliorare per inseguire un sogno: entrare nel giro della nazionale maggiore in vista degli europei casalinghi di Roma, possibile trampolino di lancio verso i Giochi Olimpici di Parigi.

Parlaci un po' di te. Quando nasce il tuo amore per l'atletica?

Tutto è iniziato per caso, correndo una campestre scolastica e arrivando a ottenere in un solo anno il mio primo titolo italiano da cadetta sui 1000 metri. Da allora ho vissuto veramente le annate più belle, un pochino faticose, però quest'anno è stato il top.

Hai un modello di riferimento a cui ti ispiri?

L'atleta bosniaco Amel Tuka: lui è stato la mia prima fonte di ispirazione, perché questo ragazzo della Bosnia-Erzegovina non aveva nulla. Si è trasferito a Bussolengo, dove si allena con il tecnico della nazionale e ha ottenuto risultati veramente importanti; questo ragazzo che aveva iniziato atletica a vent'anni (tardissimo) è diventato vicecampione mondiale ed è sempre alle Olimpiadi. Recentemente poi, da quando sono negli Stati Uniti, mi confronto con tantissime atlete di livello altissimo. Quest'anno ho avuto modo di correre contro Raevyn Rogers, bronzo olimpico a Tokyo negli 800 metri. Si allena a Portland con un gruppo professionistico e ho avuto modo di gareggiare con lei in una gara molto combattuta. Anche lei è una delle mie fonti di ispirazione attuali, che mi ha dato la carica per puntare in alto.

Come hai vissuto l’esperienza alle Universiadi?

La sto ancora metabolizzando. Già chiamarmi campionessa mondiale mi sembra strano. Sono  veramente felicissima di questa esperienza e ringrazio tantissimo la FederCUSI (Federazione delle università italiane) e la mia società atletica, perché mi hanno dato questa opportunità, che ad oggi è stata l'esperienza più bella non solo dal punto di vista sportivo, ma anche dal punto di vista culturale. Le Universiadi, diversamente da qualsiasi altro campionato, sono una combinazione fra il campionato e diversi eventi: il campus dove alloggiavamo era adibito affinché potessimo seguire dei corsi, fare classi edattività divertenti. Ho vissuto due settimane bellissime, durante le quali ho conosciuto la cultura cinese e tantissime persone da tutto il Mondo, mi sono innamorata della Cina...  È stata davvero un'esperienza piena di tutto dal punto di vista culturale e sportivo.

Come hai vissuto i giorni delle gare?  Eri consapevole che avresti ottenuto questi risultati, oppure sono stati quasi una sorpresa? Quando sei arrivata al traguardo, quando hai realizzato quello che hai fatto, come ti sentivi?

La vittoria negli 800 sinceramente non me l'aspettavo, è stata veramente una sorpresa e si vede probabilmente anche dalle foto. In questa stagione outdoor ho avuto un problema fisico al bicipite, che ha condizionato la preparazione per gli 800: mi sono limitata a fare allenamenti più specifici per questa disciplina, che richiedono velocità e sono più traumatici. Quando sono arrivata in Cina, non avevo ancora confermato la mia presenza per gli 800. Parlando poi con il mio coach, con la mia famiglia e con i tecnici lì con me, ho deciso di provarci. La finale degli 800 cadeva peraltro la sera prima della semifinale dei 1500 e ti dirò, alla fine sono arrivata con la mente  completamente libera. L'obiettivo era ovviamente quello di vincere ma non era così a portata di mano: io avevo il 4º o  5 º tempo e Margarita Koczanowa col miglior tempo era molto più avanti di noi. Eppure mi sono ritrovata io a tirare la prima parte della gara. Alla fine la gara si è decisa negli ultimi 30 metri, dove ad essere decisiva è stata la mia testa ancor  più delle gambe. Questione diversa per i 1500 metri: dopo il successo negli 800, sentivo proprio di poter vincere. La qualifica si è disputata il mattino dopo la finale degli 800, quindi ho avuto solo 12 ore per riprendermi. Ho dormito pochissimo, ho fatto anche il doping test… È stata una notte tosta. Ho passato il turno della mattina e poi, fortunatamente, ho avuto due giorni per recuperare. Ho corso la finale di domenica sera, ma già dal mattino ero adrenalinica, perché dentro di me sentivo che avrei vinto.

Spesso si dice che negli Stati Uniti ci sia un lavoro migliore rispetto a quello che c'è in Italia nel  conciliare lo sport agonistico e professionistico con lo studio. Come descriveresti questa differenza?

È una differenza abissale. Negli Stati Uniti, a prescindere da dove tu vada, è intrinseco valorizzare lo sport a partire dalle superiori fino all’università, dando lo stesso valore dello studio allo sport. Purtroppo in Italia tutto ciò non esiste e questa, secondo me, è veramente una grandissima pecca, perché alla fine il momento in cui si fa appassionare un ragazzo o una ragazza allo sport è quando sono giovani; se non c'è un supporto da parte del sistema purtroppo non crei una cultura sportiva nei ragazzi. Negli USA, sono riconosciuta come student-athlete: ho una borsa di studio che copre tutte le spese, un tutor che ci segue nella preparazione e che mi prepara alle classi. Non ci sono mai conflitti tra classi, corsi ed allenamenti. Così si riesce ad allenarsi come un atleta professionista, con l'accesso alle strutture di cui hai bisogno, e nel mentre essere uno studente universitario come tanti altri. Di conseguenza, questa è la differenza rispetto all'università italiana dove, purtroppo, anche se sei un buon atleta, non sei riconosciuto.

Hai intrapreso un percorso di studi importante. Hai già un'idea di quello che farai dopo la carriera sportiva?

Bella domanda… Non proprio, perché mi manca comunque ancora un anno e mezzo. La mia idea è rimanere nell'ambito sportivo e riuscire a costruirmi una carriera nell’atletica. Questa doppia vittoria alle Universiadi mi ha confermato che posso farcela. Purtroppo, però, in Italia per diventare atleta professionista si deve per forza entrare in un corpo militare, perchè vigono ancora i vecchi sistemi. Negli Stati Uniti, invece, entri in un gruppo sportivo tramite lo sponsor e sei pagato proprio da quest’ultimo. È un concetto più all'avanguardia, aperto e, forse, anche molto più facile. Quindi il sogno nel cassetto sarebbe rimanere negli Stati Uniti ed entrare in un gruppo professionistico, magari continuando i miei studi part time oppure, ottenuta la mia laurea in biologia, vedere se tornare in Italia ed entrare in un eventuale gruppo militare. Sicuramente, comunque, puntare sullo sport.

Parigi 2024?

Parigi 2024 è nel mirino. Sono assolutamente consapevole che c'è tantissima strada da fare, perché ora gli standard per la qualificazione sono veramente alti ed io, sulla carta, sono ancora un pochino lontana. Però, specialmente dopo questa vittoria alle Universiadi, ci credo: non tanto per i tempi che ho corso, perché non rappresentano quello che valgo, ma per la maturità con la quale ho gestito ed interpretato le gare. Ancor prima di Parigi, l'obiettivo numero uno per l'anno prossimo sono i campionati europei di Roma che si disputeranno a metà giugno; l'accesso a questi ultimi mi potrebbe dare un vantaggio anche per andare alle Olimpiadi.

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