Interviste
Campioni su due ruote
Dovizioso in pista e fuori
Il pilota in forza al team della Ducati si racconta tra paure, passioni, miti e tatuaggi. E un rammarico: non poter essere con i fan quanto vorrebbe. Il futuro? Sempre in sella, naturalmente, che sia in pista o nel fango del motocross
William “Rocker” Mattone | 10 dicembre 2013
Talento del pilota o tecnologia sulla moto: qual è la formula vincente?
Anche nella MotoGP di oggi il talento del pilota fortunatamente rimane ancora un po’ più importante, ma la tecnologia della moto è fondamentale ed è diventata sempre più determinante.

Eventi come la tragica morte del Sic o di Romboni ti hanno messo la paura addosso oppure oggi ti aiutano a dosare l’adrenalina e a fare meglio?
Sono tragedie e situazioni pesanti, ma la mentalità del pilota resta. È logico che ti condizionino un po’ i pensieri nella vita, ma non quando sei in pista.

Quello che noi non vediamo: com’è la vita di un pilota nei paddock?
Dipende in che gara sei, logicamente in quelle italiane e spagnole ci sono molti fan, quindi devi organizzarti bene in tutte le cose da fare durante la giornata. Vorresti concedere più autografi e foto per tutti, ma purtroppo non c’è mai abbastanza tempo. È una cosa spiacevole, ma non abbiamo alternativa.

Correre al fianco di campioni come Pedrosa o Stoner ti ha fatto crescere? Oppure ognuno segue il suo stile?
Mi ha fatto crescere molto avere dei compagni di squadra così forti. Ti possono battere e lo fanno ovviamente in certe occasioni, ma se cerchi di studiarli, questo può aiutarti tanto.

Classe ‘86 e una carriera tutta in salita, dalla 125 al MotoGP. Che aspettative avevi quando hai iniziato?
Quando cominci, il Mondiale lo vedi come qualcosa di troppo grande e pensi che sia difficile diventare uno dei più forti, ma quando ottieni buoni risultati invece ti senti il migliore e credi di poter vincere tutto. La realtà, però, è che il livello è molto alto, sia delle moto che dei piloti.

Hai un mito delle due ruote nel cuore che vuoi eguagliare?
Io ho sempre corso con il numero 34 in onore di Kevin Schwantz.

Sei un ultra-tecnologico, i fan ti sono vicini su Twitter e ti seguono su Youtube in ogni momento: quanto conta il loro appoggio?
Non sono affatto ultra-tecnologico, ma è importante sentire in ogni modo l’affetto dei fan per tirare fuori il 100%.

Oltre alle moto hai anche passioni più “comuni”?
Niente di particolare, la mia vita ha sempre girato intorno alle moto da quando sono piccolo, però mi piace praticare un po’ tutti gli sport, che siano il calcio, il downhill, l’arrampicata, lo snowboard, io mi diverto…

Sappiamo che ti piace anche sporcarti col fango del motocross… Forse una futura carriera che ci tieni segreta?
In questa disciplina non è possibile fare qualcosa di importante quando hai una certa età, però è la mia passione e sì, vedo il motocross anche in futuro.

Nel 2006 a Barcellona hai fatto spettacolo. Ricordi altre vittorie più significative?
Nel 2007 la vittoria in Turchia in volata con Lorenzo e Bautista è stata forse per me la più bella e adrenalinica!

Che significato hanno i tuoi tatuaggi? Sono capitoli importanti della tua vita?
Di tatuaggi ne ho ben cinque: un 34 con la stellina sul bicipite destro che risale a quando ho vinto nel 2004 il titolo della 125cc; ne ho uno sul polpaccio con una frase riferita al destino; ho tatuata la parola ‘chiccholo’ che fa riferimento a mia figlia; ho un bracciale con la ‘S’ che sta per Sara, che è il nome della mia bambina, infine, quello del ‘Tin Bota’ Team, io con gli amici.

Quando hai iniziato ti remavano contro o hai sempre avuto il giusto incoraggiamento da tutti?
Nessun pilota può avere l’incoraggiamento da tutti: hai persone che ti remano contro e quelle che ti spingono. Non sono mai stato uno che ha avuto appoggi da sponsor. Ho avuto la fortuna di conoscere persone che mi hanno aiutato a raggiungere il Mondiale, ma sono arrivato ai miei traguardi sempre grazie ai risultati che ho ottenuto.
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