Musica
Un caffè con gli Egokid
Abbiamo incontrato gli Egokid, band milanese multiforme, radical chic all’apparenza ma punk dentro, che raccontano se stessi e il loro recentissimo “Disco Disagio”
Francesco Zago | 29 marzo 2019

Gli Egokid nascono nel 2000 a Milano, ma non realizzano progetti in lingua italiana fino al 2008, quando con “Minima Storia Curativa”esordiscono in lingua madre. Seguono “Ecce Homo” (2011), “Troppa gente su questo pianeta” (2014) e l’ultimo uscito “Disco Disagio” (marzo 2019).
Nel corso degli anni hanno avuto modo di sperimentare diversi stili, giungendo nell’ultimo lavoro ad un synth-pop molto orecchiabile ma mai banale né privo di elementi importanti a livello contenutistico.

Nell’intervista che segue abbiamo avuto la fortuna di parlare con le due voci della band, Piergiorgio Pardo e Diego Palazzo, che ha collaborato anche con i Baustelle e con Samuele Bersani. Ciò che ci ha colpito è stato senza dubbio il loro essere ironici, senza prendersi troppo sul serio e sempre pronti a controbattere in modo inaspettato, mantenendo però quell'alone di professionalità che non sembra più essere una costante nei loro colleghi della scena indipendente.

Di fronte ad un caffè (come potete vedere nelle storie in evidenza sul profilo Instagram @zainetmagazine) ci hanno risposto così.  

 

Per chi non vi conosce, vi sfidiamo a sintetizzare la vostra carriera e il vostro stile in poche parole
Il nostro è“Artpop dello scazzo”. Siamo punk (oggi poi va di moda dire di essere punk) e lo siamo veramente. Punk dentro e radical chic fuori…delle persone orribili! 

 

Disco Disagio è recentemente uscito, dopo cinque anni dal vostro ultimo lavoro. Come lo descrivereste e com'è stato lavorare a questo progetto?

D: È stato entusiasmante. Disco Disagio è un disco che celebra l'essere speciali per qualcuno di speciale. 

P: Ma è anche un'avventura nella disco, dove il disagio è quello di dover ballare per forza, mentre il muoversi davvero insieme diventa una forma di danza molto più interessante. Lo "scambiarsi la pelle", citando Dalla, come fa giustamente notare Palazzo. E poi alla fine della serata disco, dove succede di tutto, si esce con le endorfine a mille. 

D: E piangi. 

P: E diciamo “Buona Tragedia” (canzone in chiusura dell'album, ndr). 

 

Il sound di questo disco vira molto sul synth-pop, ma al cambio di genere non corrisponde (almeno non in toto) un cambio di contenuti. La critica e l'impegno permangono, anche se più nascosti. Pensate sia fondamentale far trasparire, piùo meno esplicitamente, il vostro pensiero? O credete che l'assenza di contenuti impegnati” possa essere ugualmente apprezzabile?

D: Assolutamente sì, èimportantissimo far trasparire il proprio pensiero politico. Noi siamo schierati da sempre, e ci sta un po’ sulle palle chi non prende una decisione chiara per mantenersi a galla. Invece noi vogliamo sì restare a galla, ma essendo poetici e allusivi allo stesso tempo. 

P: Io sono un antifascista convinto, arrabbiatissimo per quello che succede a Verona in questo periodo. Già nella quotidianità del vivere sono antifascista, mi ci sveglio la mattina: trasudiamo antifascismo da tutti i pori…

D: Infatti abbiamo una pelle splendida! 

P: E quando diciamo “facciamo l'amore”, lo diciamo come omaggio alla Chiesa cattolica. 

 

Le vostre influenze culturali sono molto disparate tra loro, ma riescono a confluire in album che non sfocia mai nel classico calderone di contenuti. Per questo vi chiedo: come riuscite a dosare, per così dire, le diverse tematiche e i vari tipi di musica per raggiungere sempre una sorta di equilibrio? 

D: Inizialmente tutto accade nelle nostre teste, ma come individui. Poi però c'è un grande scambio tra me e Pier da un punto di vista poetico e contenutistico. 

P: A suon di schiaffi! 

D: Esatto, ci meniamo, come McCartney e Lennon ognuno fa le pulci all'altro e gli restituisce l'immagine che non vorrebbe vedere di sé. 

P: Per quanto riguarda le influenze musicali, abbiamo una cosa in comune (che poi ci ha portato al pop). Siamo entrambi onnivori negli ascolti. 

D: Siamo anche ossessionati dalla fine del mondo. Abbiamo un approccio molto laico, “leopardiano”. Siamo un po’ nichilisti, ma in senso buono, non in senso nazista-nietzschiano. 

P: In senso nazista assolutamente no…Ma nietzschiano sì! Abbiamo anche fatto un disco che si chiama “Ecce Homo”, che fai rinneghi Nietzsche adesso? Ormai è troppo tardi…siamo umani troppo umani. O forse no, ma neanche superuomini. 

 

Nel corso delle vostre singole carriere avete preso parte a diverse collaborazioni. Con chi vorreste collaborare, come gruppo, nella scena indipendente (e non)? Pardo sappiamo che ami M¥SS KETA, speri in un sodalizio col CAPSLOCK?

P: Io amo M¥SS KETA disperatamente, lei secondo me è veramente la diva definitiva, perché ha saputo portare l’esagerazione all'interno di una dimensione social. E qui però lei vince, perchéci ha messo la mortadella nei social. Fighissima M¥SS KETA. 

D: Io amo un po’ Chadia Rodriguez devo dire, mi piace molto quella femminilità disinibita e disinvolta: mi sento un po’ Chadia Rodriguez anch'io. 

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