Musica
A tre anni da Helldorado, il ritorno aggressivo dei Negrita con un disco pieno di speranza
Soffia il vento del cambiamento
Dannato Vivere è l’ultimo album della band toscana, nato durante un viaggio negli States. Li abbiamo intervistati per voi a Milano
Alessandro Bai, 19 anni | 7 novembre 2011

Hanno girato tutto il mondo perché, come amano definirsi loro, sono degli esploratori. Dopo aver toccato Brasile, Argentina, Spagna, U.S.A, i Negrita tornano a casa per presentare il nuovo album Dannato Vivere (Universal music).
Partiamo dal titolo del vostro album, perché Dannato vivere?
«Dannato Vivere esprime come l’esperienza della vita, nonostante comporti dolore, sia meravigliosa. È un disco pieno di riflessioni sui momenti mancati e sui desideri da realizzare, ma offre anche una visione di questo momento di crisi mondiale. Stiamo andando verso un’apocalisse, ma ci vogliamo negare questo termine. Abbiamo abbandonato l’atteggiamento di invettiva, presente negli altri dischi. Ora è superfluo perché tutti siamo toccati da questa crisi. Ecco, a questo vento negativo noi opponiamo un soffio di positività. In questo momento i media e la comunità artistica devono responsabilizzarsi e occuparsi di fermare questo tornado di negatività. Non può essere un’utopia, si comincia a percepire un vento di cambiamento. Vogliamo rivolgerci alla gente comune, dobbiamo partire dal basso e risvegliarci da questo torpore perché ci sono le possibilità di pianificare qualcosa».
Un passo indietro: la progettazione dell’album, iniziata in Texas. Come mai questa location?
«La scelta della location è stata casuale: ci trovavamo già in America, ma non è stato un viaggio di quelli che scava un solco profondo, come i precedenti. Poi, per coincidenza, siamo finiti sul Rio Grande, una frontiera naturale che divide il Terzo mondo da quello occidentale. Una zona di attriti che noi abbiamo vissuto in pieno. Il nostro studio si trovava in un ranch, in un’area dove la gente gira armata. È stato un viaggio simbolico perché ci ha staccato, ma non troppo, dagli ultimi dischi e perché siamo partiti dalla terra di confine rispetto a quella di Helldorado. Un viaggio che però non ha condizionato la musica, piuttosto i testi. Città come Nashville e Memphis sono state molto deludenti, ormai sembrano dei musei. Manca quell’energia, la pulsazione che abbiamo trovato in Brasile e Argentina, e per questo il nostro disco sul piano musicale non pesca dall’America».
Allora i diversi suoni proposti nell’album di cosa sono figli?
«Della memoria, che vuole essere contemporanea e cercare di tirar via la polvere. Era naturale portarsi dietro qualche “batterio” di Helldorado, mescolato però con quel sound inglese degli anni ‘70-‘80 che rappresenta forme di musica per noi irripetibili. Abbiamo aperto gli armadi della musica che ci ha cresciuto».
Lo street video Fuori controllo con Tognazzi come è nato?
«Sono dieci anni che Tognazzi ci martella per partecipare a un nostro video, ed è nato così, nel segno dell’amicizia, ed è fiorita una bella esperienza. È nato tutto da una delle nottate insonni di Drigo. Abbiamo dovuto improvvisare molte cose in giro per Milano e fare i conti con un budget quasi nullo. Abbiamo girato con macchine a mano, in dieci ore e decidendo molte cose sul momento. Che se ne parli per noi è davvero una figata, perché dire che un video è costato zero in un momento del genere è incoraggiante. L’arte di arrangiarsi è una risorsa che stiamo trascurando».
Il vostro tour attualmente prevede sei date invernali. Avete già pianificato una tournée estiva?
«No, in questo momento non abbiamo progetti per l’estate, ci sono queste sei date che ci occupano la testa perché sono location importanti. Dovremo avere un’attenzione particolare in modo da fare uno show che ci rappresenti. Vogliamo mantenere la natura dei Negrita nei confronti della gente, continuare a farla uscire dai concerti col sorriso in faccia, pur affrontando anche argomenti pesanti».

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