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Il campione che non amava nuotare
Francesco Bocciardo, 22 anni, studente di scienze politiche e vincitore della medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Rio 2016: un sogno coronato
Redazione di Genova | 27 febbraio 2017

Al collo hai una medaglia d’oro, cha ha tutta una storia in sé, ce la racconti? Questa qui è la medaglia d’oro dei 400 stile libero, come potete vedere dalle scritture che sono presenti qui sotto e secondo me la cosa bella di questa medaglia rispetto alle medaglie olimpiche è data dal fatto che hanno un design completamente diverso, molto più moderno, come possiamo vedere dalla scritta in braille e in più fanno anche rumore. Questa cosa è la cosa in più che mancava e fatta per le persone non vedenti. È una medaglia accessibile a tutti e ti fa veramente capire quanto le persone riescono a riadattarsi, a reinventarsi quando perdono qualcosa.

Perché proprio il nuoto? Questa è una domanda un po’ complicata, quando ero piccolo piccolo io non amavo il nuoto. Io sono stato preso e buttato in acqua dai miei genitori all’età quattro anni, ma proprio fisicamente, perché loro avevano parlato con la mia fisioterapista che aveva detto di mandarmi a fare nuoto che sarebbe stato l’ambiente ideale per una persona con una disabilità.

Quanto si allena un atleta come te? A settimana, al giorno? Mediamente prima di Rio anche 4 ore in vasca più un’ora, un’ora e mezza in palestra tutti i giorni Normalmente in prossimità delle gare il numero di chilometri ore diminuiscono perché il corpo deve arrivare anche rilassato e, si arrivano a fare anche 7-8 km a seduta.

Dove si trovano le motivazioni per essere i migliori al mondo? Secondo me è una continua ricerca, nel senso che una persona non nasce perfetta, imparata, deve coltivare i propri talenti per farli diventare qualcosa di eccezionale, unico. 

E che cos’è che ti fa fare il salto di qualità? Non basta una cosa è una serie di cose, serve tanta costanza, bisogna essere molto determinati. Bisogna capire che nella vita per arrivare a certi livelli bisogna rinunciare a tantissime cose, significa andare a dormire presto, non uscire con gli amici, rinunciare ad avere una vita sentimentale. 

Come viene vissuto l’handicap dagli atleti? Diciamo che secondo me l’handicap se ci sono le istituzioni e le strutture giuste non dovrebbe essere da una persona con una disabilità in maniera negativa. Mi spiego meglio, sta a noi decidere di fare in modo che la disabilità non sia una situazione invalidante, ammesso che non ci siano barriere architettoniche. Una persona deve cercare dentro di sé la motivazione per dire: posso avere una vita felice anche se ho una disabilità.

 
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