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Scuola: indietro tutta!
Secondo Francesco Dell’Oro la scuola dovrebbe fermarsi e fare marcia indietro: più tempo per imparare, maggiore rapporto con gli studenti, meno etichette
Alex Lung, 20 anni | 20 February 2020

Francesco Dell’Oro, classe 1946, ha passato la sua vita tra i banchi, e ci offre una nuova prospettiva per ripensare la scuola: quella di uno studente che ha avuto bisogno di tempo, incoraggiamento e supporto. A lungo responsabile del Servizio di Orientamento scolastico del Comune di Milano, Dell’Oro continua nella sua attività di consulente e saggista. Nel suo ultimo libro Indietro tutta-Navigando verso la scuola di domani, edito da Tralerighe, si conferma come una voce fuori dal coro, questa volta riguardo ai DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), al sistema di valutazione e ai docenti che non sanno coinvolgere. 

 

Nel suo ultimo libro si sofferma sui DSA e su come vengono trattati nelle scuole. Perché, secondo lei, bisogna tornare indietro?

La Legge 170 è una grande risorsa, perché permette ai ragazzi che hanno difficoltà di utilizzare strumenti dispensativi e compensativi, ma ora sta diventando un’epidemia. Sono tutti dislessici, discalculici e così via. Forse stiamo sottovalutando l’esigenza di rivedere il percorso scolastico. Oggi c’è un errore grave: non riusciamo a capire qual è il confine tra i disturbi e l’immaturità. Negli anni ‘50 si imparava a leggere e scrivere con tempi più distesi, veniva insegnato a tenere in mano la matita. Forse dovremmo riprendere dalla scuola di tanti anni fa quest’attenzione e creare un tipo di insegnamento più focalizzato allo sviluppo psico-fisico dei bambini. 

 

Il suo motto è: “Sogno una scuola alla rovescia. Il luogo elettivo dell’errore. Il posto giusto per imparare, con un sapere non preconfezionato. Un laboratorio di ricerca”. Perché si dovrebbe riscoprire l’errore?

C’è un problema di organizzazione scolastica e di valutazione. Nei convegni diciamo sempre che la lezione frontale e il setting non funzionano più: la cattedra, i banchi dei fedeli devoti… La nostra è una scuola che deve diventare un laboratorio di ricerca, perché adesso abbiamo una valutazione imbrigliata in una media scolastica. Il ragazzo in difficoltà qualifica la tua professionalità di docente, qualifica la tua scuola. Magari deve fare 500 metri e ne ha fatti solo 200. Perché abbiamo un sistema che va a mortificarlo? La scuola dovrebbe dire: “Qui sei arrivato, adesso ti dico cosa devi fare per arrivare ai 500”. Il ruolo di insegnanti e genitori è quello di trasmettere regole, esperienze, valori. Ma questo messaggio arriva sul pianeta degli adolescenti ad una condizione: se loro si sentono apprezzati e stimati. 

 

E allora come si potrebbe valutare lo studente?

Intanto bisogna conoscerlo. Gli studenti sono il risultato della loro storia, del loro vissuto, delle figure più o meno significative che hanno incontrato a scuola e in famiglia. Il grande psichiatra Winnicot diceva che c’è solo una cosa fondamentale per gli adolescenti: imparare a sostenerli nel loro percorso di crescita e di maturazione. Io trovo troppi ragazzi con un livello di autostima davvero inadeguato, vere e proprie anime ferite. In questa situazione i ragazzi diventano fragili e riservati, oppure assumono comportamenti ostili e irritanti; ma è un modo per chiedere aiuto. Inoltre, nelle scuole sta passando ormai quest’aria mefitica: quelli bravi vanno al liceo, i meno bravi ai tecnici, gli sgarrupati agli istituti professionali, e quelli che non studiano niente alla formazione lavorativa. Io ritengo il liceo classico un ottimo corso di studi, ma non si può più dire “se non vai lì non ti si apre la mente”; non è mica un reparto di neurochirurgia! Il corso di studi che apre la mente è quello che uno può affrontare con impegno e fatica, ma senza sofferenza e disagio.

 

Cosa capisce uno studente quando si parla degli indirizzi etichettati come “di serie B”? 

Intanto ci vorrebbe una maggiore formazione da parte degli insegnanti. Ad esempio, l’indirizzo “scienze umane opzione economico sociale” non ha il latino, ma ha due lingue straniere, diritto ed economia politica per cinque anni. Non trovi pedagogia, ma c’è metodologia della ricerca, un po’ di statistica, poi psicologia, sociologia e antropologia culturale. È un corso di studi straordinario. Queste informazioni di base, purtroppo, molti insegnanti non le hanno. 

 

A breve si terranno i concorsi per i docenti. Qual è il metodo che dovrebbe essere utilizzato per selezionare i professori? 

L’ingresso immediato di 40.000-50.000 insegnanti attraverso un concorso un po’ mi preoccupa. Questo sistema di inserimento crea problemi in quanto poi arrivano le famose tre categorie di insegnanti: straordinari, discreti e da dimenticare. Non c’è in questi concorsi un rapporto più personale. Serve una qualche strategia di diverso tipo docimologico, in modo tale da ottenere un contatto diretto con l’insegnante che entrerà in classe. Non si può fare un concorso a crocette. Non sono un segnale di formazione, di sensibilità.

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