È iniziato tutto quando mi è stato chiesto: “Mi aiutate a trovare un titolo per un convegno su come stanno i ragazzi dopo la pandemia?” Mi sentivo in difficoltà, perché la pandemia mi aveva cambiato tanto e non riuscivo a descriverlo. “Vi siete tutti un po’ bloccati”, mi è stato detto. Quella parola “bloccati” ha cominciato a girarmi in testa. Quel blocco lo conoscevo bene. Per me, il COVID è stato proprio questo: un momento in cui tutto si è fermato. Come una chiave che gira nella serratura, ma non per aprire. Per chiudere. Ci siamo ritrovati in un posto strano, sospeso. Quel luogo in cui la vita ci aveva improvvisamente catapultati, in cui il mondo ci aveva costretti a rinchiuderci, e che gli adulti sembravano voler ignorare, imponendoci di comportarci come se non esistesse. Eppure, quel posto era reale. E ci siamo rimasti dentro anche dopo, anche quando fuori sembrava tutto tornato normale.
Mi è venuto in mente “se qualcosa si può bloccare, allora forse si può anche sbloccare". Il Covid più che una semplice chiave è una chiave rotta, mi sono detta e ci sta impedendo di riaprire quella porta bloccando il nostro futuro. Una porta per il futuro non bloccata per sempre, dobbiamo solo trovare
una nuova chiave che ci permetta di aprirla. E da lì è venuta l’idea del titolo: Sblocchiamo il Futuro, che è diventato un progetto. Mi auguro che venga presa anche come un invito. A liberarci da tutto ciò che ci trattiene, da ciò che ci blocca. A non smettere mai di cercare quella chiave in grado di aprire quella porta. A non pensare che l’incertezza, la solitudine, la sensazione di non avere spazio per decidere davvero continui ad impedirci di trovare il modo per sbloccarci. Questo progetto dà voce a noi ragazzi e alle nostre domande. Vogliamo essere ascoltati, non solo raccontati. Tutti continuano a dire che il futuro è nostro, non possiamo più aspettare che qualcuno ce lo sblocchi. Dobbiamo farlo noi, dobbiamo sbloccarlo da soli. Se questa chiave non esiste, la creeremo noi.