Attualità
Socialmente bello. Cambiare il mondo partendo da noi: la forza dell’ARCI
A tu per tu con il Presidente nazionale di ARCI Walter Massa
Mariangela De Blasi | 1 ottobre 2025

L’ARCI – Associazione Ricreativa Culturale Italiana – è la più grande Associazione di promozione sociale e culturale in Italia. Nata nel 1957, conta quasi un milione di soci e socie e migliaia di circoli attivi su tutto il territorio, impegnati in cultura, diritti, inclusione, solidarietà e partecipazione democratica.

Per la rubrica Socialmente Bello incontriamo il Presidente nazionale Walter Massa, genovese e genoano classe 1972, eletto nel dicembre 2022. La sua esperienza associativa, iniziata negli anni ’90 come animatore di circolo, lo ha portato a guidare l’Arci ligure per un decennio e a seguire temi come infanzia, accoglienza delle persone migranti e welfare territoriale. Oggi, al timone dell’associazione, il suo impegno, sia associativo che professionale, ruota attorno a temi centrali come la cultura di prossimità, l’accoglienza e l’inclusione lavorativa delle persone più fragili, il welfare comunitario e la difesa dei valori costituzionali, in particolare la libertà, la solidarietà e la partecipazione.

Per iniziare, Walter: cos’è l’Arci e perché è nata? Se dovessi spiegarlo a un ragazzo o una ragazza che non ne ha mai sentito parlare, quali parole useresti?

Non è facile sintetizzare una storia così lunga: tra un anno e mezzo l’Arci compirà settant’anni. Ma le sue radici affondano ancora più indietro, nelle società di mutuo soccorso, ossi, gruppi di persone che, in assenza di sanità, pensioni e tutele, mettevano insieme i propri risparmi per garantire diritti fondamentali a chi partecipava a quella “cassa comune”. Lo spirito era – ed è ancora oggi – che l’unione fa la forza. L’Arci nasce proprio da qui: dal mettere insieme le persone per migliorare le condizioni di vita di tutte tutti, partendo da sé stessi. Dopo il Covid questo principio ha acquisito un significato ulteriore: non solo unire le persone per migliorare la società, ma anche per contrastare solitudine e isolamento. Oggi direi che l’Arci è un insieme di persone che scelgono di associarsi, come previsto dalla Costituzione, per due ragioni fondamentali: da una parte impegnarsi a migliorare la vita propria e della comunità, dall’altra trovare occasioni per stare insieme.

Hai parlato di “diritti”. Oggi, guardando dal tuo punto di osservazione profondo e capillare come lo è la rete della tua associazione, quale pensi sia davvero il rapporto tra società attuale e diritti? E quanto l’associazionismo di base, come l’Arci, può essere un presidio contro il loro arretramento?

Viviamo effettivamente una fase di arretramento. Molte conquiste del Novecento vengono erose: i diritti si trasformano in privilegi per pochi o in semplici concessioni del funzionario di turno. Basta pensare a un cittadino immigrato che si reca in questura o a chi si rivolge a un ufficio pubblico: ciò che dovrebbe essere un diritto dipende spesso dalla discrezionalità di chi sta dall’altra parte. 

La nostra Costituzione è bellissima, ma resta largamente inapplicata. Per far sì che i diritti diventino reali, bisogna mettersi insieme. Oggi prevale il modello del “grande leader” che decide per tutti, ma senza partecipazione diffusa i diritti rischiano di non essere garantiti.

In un’epoca in cui gran parte delle relazioni e delle attività sembra spostarsi online, perché ritieni che sia ancora fondamentale garantire alle persone giovani spazi reali di incontro e socialità?

La tecnologia non è un male in sé: può arricchire la vita, ma non può sostituire i rapporti umani. Durante il Covid lo abbiamo capito: stare chiusi in casa davanti a un computer non basta. Oggi Arci è la più grande associazione culturale italiana, con oltre un milione di iscritti, e sta crescendo proprio perché le persone cercano spazi reali di incontro. La solitudine è uno dei mali del nostro tempo: se non affrontata, diventa paura, poi intolleranza e infine razzismo. Contrastarla è una responsabilità sociale e politica, che riguarda non solo associazioni come la nostra ma anche le istituzioni.

Arci è associazionismo, cultura, politica, sociale, volontariato. Come stanno insieme tutte queste cose?

Stanno insieme perché rispondono a un bisogno. Il termine più importante è politica, intesa non come appartenenza ai partiti ma come scelta di costruire alternative. Luciana Castellina ci ricorda che il vero nemico oggi si chiama “TINA” – “There Is No Alternative”. Noi crediamo invece che un’alternativa esista e vada costruita dal basso, nelle comunità. La spinta delle persone giovani è fondamentale: hanno bisogno di prospettive di cambiamento. In un mondo segnato da guerre e disuguaglianze, la nostra sfida è dimostrare che la politica può ancora significare futuro.

Molti giovani però vedono la politica come qualcosa di distante. In che modo l’Arci può renderla vicina e concreta, accompagnandoli a essere parte attiva del presente, non solo del futuro?

Non credo ci sia odio verso la politica, ma diffidenza verso i partiti. La politica non la fanno solo le istituzioni: la facciamo ogni giorno quando scegliamo di agire o non agire. Partecipare a una manifestazione, organizzare un’attività solidale, lottare contro le ingiustizie: tutto questo è politica. L’Arci dimostra che la politica non è solo rappresentanza, ma azione concreta nelle comunità. E spesso dico che le istituzioni dovrebbero riconoscere il nostro ruolo: siamo tra i pochi soggetti che tengono insieme le comunità attorno a luoghi reali di incontro e partecipazione.

Cultura, musica, cinema, libri, solidarietà, diritti, progetti sociali e di cooperazione: tra le tante attività dell’Arci, quali ritiene possano coinvolgere maggiormente le nuove generazioni?

Tutte, perché tutte sono occasioni di aggregazione. Penso ai concerti, ai progetti culturali, ma anche alle iniziative solidali come la distribuzione di cibo durante il Covid, dove abbiamo visto tanti giovani donare tempo ed energie. La vera chiave, però, non è tanto il tipo di attività ma è lasciare spazi a disposizione. Io stesso a 14 anni, dopo un’esperienza negata in un circolo, ho fondato con gli amici un nuovo circolo Arci. La forza dell’associazione è avere spazi fisici dove sperimentare, sbagliare e sentirsi protagonisti.

E oltre agli spazi, cosa mette a disposizione Arci a chi vuole aprire un circolo?

Offriamo strumenti concreti: agevolazioni economiche nei primi anni, supporto organizzativo e accesso a reti tematiche. Chi desidera occuparsi di musica può entrare in contatto con i grandi circuiti Arci, dal Magnolia di Milano alle realtà di Roma e Torino, senza dimenticare i piccoli circoli delle periferie e delle aree interne. Chi invece vuole impegnarsi su temi come la pace, i diritti o il sociale, trova persone competenti e risorse utili per costruire percorsi condivisi.

Che valore ha oggi, soprattutto per i giovani, scegliere di associarsi e portare in tasca una tessera Arci? È solo un simbolo o rappresenta un vero strumento di appartenenza e partecipazione? 

La tessera non è un biglietto di ingresso, ma significa appartenenza. È il segno di una comunità di cui fai parte e che sostieni. Durante la pandemia, quando i circoli erano chiusi e non si potevano organizzare attività, 400.000 persone hanno comunque rinnovato l’iscrizione: un segnale fortissimo di fiducia in un modello di società. La tessera è identità, militanza, impegno. È la scelta di contribuire a tenere viva l’Arci e il proprio circolo.

Se una persona giovane ti chiedesse da dove iniziare per partecipare davvero, cosa gli o le diresti, senza fare “l’adulto che dispensa consigli”?

Posso raccontare solo la mia esperienza: cercavo uno spazio politico e concreto, dove l’intervento sociale diventasse cultura e la cultura diventasse intervento sociale. Ho trovato tutto questo nell’Arci. Il messaggio che mi sento di dare è: seguite le vostre passioni, con ostinazione. Non accontentatevi. Ribellatevi quando vi dicono che l’unico futuro è andarsene da questo Paese. Un Paese migliore si costruisce partendo da noi.

Ultima domanda: la nostra rubrica si chiama “Socialmente Bello”, perché racconta esperienze che rendono la società più giusta, inclusiva e solidale. Possiamo dire che anche l’Arci è socialmente bella?

Sì, lo è. Non c’è nulla di più bello che occuparsi di sé stessi provando a dare una mano agli altri. Non è buonismo: è la convinzione che l’impegno sociale sia necessario, soprattutto in un’Europa in declino che rischia di non avere futuro. L’Arci è socialmente bella perché tiene viva la comunità, valorizza l’attivismo e dimostra che l’impegno civile è non solo giusto, ma anche bello.

 

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